Moro e la cultura del pluralismo

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Riflettere sull’azione di Aldo Moro alla Costituente è importante per almeno due motivi. In primo luogo l’esperienza alla Costituente è fondamentale per la biografia politica di Moro. E’ infatti alla Costituente che giungono a maturazione le riflessioni e l’elaborazione che Moro ha compiuto negli anni precedenti come studioso di diritto e come attivo esponente dei movimenti universitari cattolici. Grazie a questa maturazione Moro può sviluppare una sua visione di politica costituzionale, che ha il suo punto centrale nella volontà di orientare le energie del Paese alla realizzazione del progetto di Stato democratico e sociale delineato nella prima parte della Costituzione.

Analizzare gli interventi di Moro, prendendoli non come testi isolati ma nelle loro relazioni con la discussione che si svolse nella Commissione per la Costituzione e nell’Assemblea, consente di comprendere molto della gestazione della Costituzione. A parte alcuni interventi più tecnici o più legati al clima dell’epoca, gli interventi di Moro e dei più importanti tra i costituenti costituiscono tuttora un fondamentale contributo al dibattito politico contemporaneo, perché toccano le grandi questioni del rapporto tra Stato e persona, dei diritti e dell’uguaglianza sostanziale.

Posti di fronte al grande problema della costruzione della democrazia in un Paese che cercava di aprirsi a una nuova stagione di diritti in un contesto internazionale conflittuale, i costituenti – e Moro più di altri – seppero individuare un orizzontecomune di riferimento, pur partendo da premesse ideologiche talora antitetiche.

Un orizzonte comune che può essere sinteticamente individuato nella fondazione di una democrazia progressiva e partecipata, fondata sul pluralismo delle formazioni sociali, sul riconoscimento di una sfera garantita di diritti individuali e collettivi– anche attraverso cessioni di sovranità – e sull’affermazione dell’uguaglianza sostanziale. Si tratta, come si vede, di tematiche per nulla datate, che anzi dovrebbero costituire anche oggi i criteri direttivi di una politica non appiattita su una dimensione strettamente tecnica o contingente.

Tra i vari filoni dell’azione di Moro direi che il più importante è quello relativo alla persona e allo Stato, due termini che per Moro sono strettamente legati. Moro rivendica innanzi tutto l’essenziale carattere antifascista della Costituzione. Sottolinea poi che i tre articoli, presi insieme, definiscono il carattere del nuovo Stato italiano, che – cito – si fonda su «la democrazia, in senso politico, in senso sociale ed in senso che potremmo chiamare largamente umano».

Moro insiste poi molto, in polemica con Calamandrei, con la centralità dei principi fondamentali. Questi non sono un semplice preambolo, ma vincolano il legislatore e assumono una funzione di garanzia. Su questo punto il discorso è chiarissimo e vale la pena di citare le parole di Moro: “Quando si parla di tante norme che andiamo discutendo e ci si scandalizza che siano norme costituzionali, bisognerebbe dire: ma in fondo questo non significa altro che sottrarle all’effimero giuoco di alcune semplici maggioranze parlamentari“.

Questo importantissimo discorso, che andrebbe letto integralmente, costituisce uno dei riferimenti più chiari per chiunque anche oggi voglia cogliere il nucleo dei valori fondamentali del nostro patto costituzionale. A questa prospettiva Moro impronterà la sua azione successiva, contribuendo a indirizzare la nostra democrazia nella direzione dell’allargamento dei diritti.

Il tema del pluralismo è centrale nell’affrontare il discoroso sulle formazioni sociali e sul rapporto tra Stato e Chiesa. La valorizzazione del pluralismo era del resto un carattere distintivo di tutta la generazione di giovani politici cattolici che si affacciò alla vita pubblica negli anni della Costituente. Basterà ricordare gli interventi svolti a favore della definizione della famiglia come “società naturale”, definizione che Moro non intende – per usare le sue parole – in senso “zoologico o animalesco”, ma nel senso che la famiglia costituisce un ordinamento originario e razionale.

La cultura del pluralismo cattolica e la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici consentono a Moro di porre in maniera duttile e moderna anche il tema del rapporto tra Stato e Chiesa. Muovendosi sulla scia delle posizioni di Dossetti, Moro afferma la necessità di regolare per via concordataria tale rapporto non perché lo Stato debba dare alla Chiesa una situazione di privilegio, ma sulla base del riconoscimento che la Chiesa è un “ordinamento giuridico originario”. La regolazione bilaterale, dunque, ha la funzione non solo di tutelare la Chiesa da ingerenze dello Stato, ma anche di distinguere nettamente sfera civile e sfera religiosa.

Tratto dall’intervento dell’On. Giuseppe Fioroni al convegno inaugurale della mostra “Aldo Moro e l’Assemblea costituente”. Per il testo completo clicca qui