Categories: Archivio storico

A Genova “acqua in bocca” invece che “allerta”

Sulla città di Genova si è riversato un letto di fango per la seconda volta causando danni per 3 milioni di euro. I volontari, radunatisi tramite i social network, non potevano immaginare di dover indossare ancora la maglietta con la scritta “non c’è fango che tenga”. Ma per le vie della città da due giorni non si è vista nessuna delle Istituzioni. Il cardinal Bagnasco è andato a incoraggiare i suoi concittadini portando il sostegno e le preghiere del Papa. Poi ha fatto capolino il sindaco Doria recatosi in sopralluogo presso le vie commerciali del capoluogo ligure. La rabbia accumulata per i danni ingenti non ancora risarciti dopo la prima bomba d’acqua del 2011 è sfociata con attacchi e polemiche fino alle offese e alla sfida per il sindaco di prendere in mano un pala e sfangare le strade o andarsene via. Gli esercenti sono messi in ginocchio da due calamità naturali e dalle condizioni già durissime che la crisi comporta.

Solo nel 2014 sono state travolte da nubifragi e violenti temporali Milano, Treviso, Modena, Olbia, Imola e Senigallia. Tutti hanno avuto in comune non solo l’incubo dell’acqua che ha irrotto nelle case abbrancando ogni cosa come un animale feroce e impazzito, ma anche l’inadeguatezza dei comuni prima durante e dopo il disastro. I comuni si giustificano asserendo che i numeri registrati non erano da allerta 2 (la massima). Gli italiani coinvolti da queste tragiche vicende si sentono raggirati da queste dichiarazioni. Come è possibile che la pioggia battente per intere giornate non sia un segnale sufficiente per spingere a prendere misure preventive? Un’Italia che non ci piace, che non ci rappresenta, la stessa che concede progetti di costruzione in zone impervie alle pendici di vulcani o su terreni argillosi e instabili che nessun geologo autorizzerebbe, la stessa che si incanta a guardare scendere millimetri infiniti di acqua senza nemmeno sospettare, magari per esperienza, che i fiumi possano esondare e possa accadere l’irreparabile, la stessa Italia che infine assiste inerte allo spettacolo di giovani volontari che senza troppe chiacchiere con una pala comprata apposta e un paio di stivaloni di gomma provano a ristabilire l’ordine. A Renzi che incoraggia le vittime dell’alluvione garantendo vicinanza mi permetto di suggerire di non lasciare soli nemmeno questi giovani soccorritori, disoccupati ma non abbattuti che, con questo gesto, traducono nei fatti il termine speranza dando esemplare testimonianza.

Moira Schena

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