A CACCIA DI PIRATI

Scivolano sull’acqua quando il sole si tuffa nel mare. Il tramonto è l’alleato numero uno per i nuovi pirati del 2000: calano i venti, le onde si placano, l’orizzonte si fa basso. Non esistono più i grandi Galeoni a cui il cinema ci ha abituato; nella realtà di oggi, l’oscurità avvolge le piccole imbarcazioni di circa 7 metri, i “barchini” come vengo chiamati in gergo. A bordo dalle 6 alle 8 persone, armate fino ai denti ma con i kalashnikov ben nascosti sotto le reti; finti pescatori, con munizionamento da guerra, satellitare, VHF. Pronti allo scontro.

La “guerra dei mari” si svolge così, in una continua allerta che va dal Canale di Suez fino al Mar della Cina. A bordo delle navi non ci sono più i marò – come i nostri Girone e Latorre, i due fucilieri ancora nelle mani degli indiani – ma un corpo specializzato privato. SI chiamano “MSO”, Maritime Security Operator, un corpo scelto di ex militari addestrati specificamente per operazioni di antipirateria.

La più grande società italiana a fornire questo tipo di personale sulle navi è la G7. “Abbiamo diverse basi nella cosiddetta High Riks Area, quella del mar Rosso per intenderci – racconta Luciano Campoli, general manager della G7 – dove posizioniamo le nostre navi hotel”. A dispetto del nome, non si tratta di crociere a 5 stelle, ma di basi operative galleggianti, da dove “il team”, composto da quattro elementi, prepara l’equipaggiamento: fucili semiautomatici, giubbotti antiproiettili, visori notturni, kit medico, radio VHF, satellitare, munizionamento. Il primo arrembaggio alla nave non lo fanno i pirati, ma proprio la scorta: già, perché l’” obiettivo” non si ferma in porto, ma prosegue la sua navigazione, rallentando un po’ l’andatura. Il team di avvicina su un gommone, sale in movimento, si arrampica; poi tira su l’attrezzatura. E si mette di vedetta.

Quando i pirati attaccano, arrivano con più imbarcazioni. Provano ad avvicinarsi alla nave da più lati, a prua come a poppa, cercando di sorprendere la scorta. Una tecnica efficace fino a qualche tempo fa, quando le tecniche di difesa non erano ancora perfezionate. Oggi è difficile che un assalto del genere abbia la meglio su un team; diverso è se si trova la nave sguarnita.

Gli MSO non sparano subito, anzi a volte non sparano proprio. Si limitano a lanciare razzi verso gli assalitori quando questi sono ancora a 500 metri dall’obiettivo. Mostrano le armi, qualche colpo di avvertimento, se serve. Dall’altra parte si capisce subito se il gioco vale la candela. Le raffiche vere e proprie arrivano quando i pirati oltrepassano la soglia dei 250 metri, anche perché a quel punto la torre di comando della nave sparisce dalla visuale, diventa inattaccabile.

E’ per questo che i pirati moderni – per lo più somali, nigeriani o camerunensi – hanno cambiato strategia. Si appostano nei porti dove le navi attraccano per consegnare parte del carico; si arrampicano e, come topi, si nascondo nel profondo delle stive. Bastano tre persone, che una volta in mare aperto entrano in azione: assaltano la torretta, prendono in ostaggio il capitano, chiudono la ciurma a doppia mandata. La nave è presa.

“Anche questa tecnica – spiega ancora Campoli – la conosciamo. Siamo pronti allo scontro su nave, se occorre. Eppure anche in questi casi cerchiamo di dosare la forza evitando spargimenti di sangue”. Dunque non un manipolo di Rambo senza scrupoli; dietro c’è preparazione, studio della geopolitica, conoscenza dei territori, delle popolazioni. E ferree regole di ingaggio.

Competenze che non si fermano solo alla difesa anti-pirateria. Troppi i rischi che le nostre grandi aziende corrono nei teatri di guerra o comunque nei territori “caldi”. Anche e soprattutto lì c’è bisogno di protezione, per non lasciare che i nostri investimenti cadano nelle mani di qualche fanatico integralista. Ecco perché è nata una scuola apposita per formare personale da destinare non solo alle navi ma anche a difesa di stazioni ferroviarie, porti, obiettivi sensibili. In Patria abbiamo le nostre forze dell’ordine, ma fuori dai confini siamo soli.

L’antipirateria ha storicamente le sue peculiarità nella tradizione inglese e francese, oggi però l’Italia ha le sue eccellenze. Una di queste è proprio la G7, azienda italiana, che impiega personale italiano per difendere navi battenti il tricolore. Uno schiaffo a chi descrive il nostro Paese come incapace di imporsi nella concorrenza globale.