9 AGOSTO 1942: AD AUSCHWITZ L’OLOCAUSTO DI EDITH STEIN

“Guardare il volto di quelli che soffrono, le ferite dell’umanità sofferente è molto diverso dalla teorizzazione astratta o dall’indignazione elegante… la ‘globalizzazione della speranza’ che nasce dai popoli e cresce tra i poveri deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza”.

Questo “guardare” contrapposto all’ “indifferenza” contenuto nel lungo e appassionato discorso di Papa Francesco al secondo Incontro mondiale del Movimenti Popolari a Santa Cruz della Sierra, in Bolivia, mi ha ricordato una tesi di laurea sull’ “empatia”: l’autrice è Edith Stein. E il relatore della tesi non è un nome qualunque dell’Università di Friburgo: si tratta infatti del padre della fenomenologia, Edmund Husserl, del quale la Stein era l’assistente. Questa grande santa tedesca, filosofa, patrona d’Europa, è protagonista storica, culturale ed ecclesiale del novecento, coinvolta in pieno, nella sua stessa vita e morte, avvenuta nel campo di concentramento di Auschwitz, al susseguirsi della tragica storia del “secolo breve”.

Stein scrive la sua tesi di laurea nel 1916, un’epoca in cui per le donne (e per giunta per una donna ebrea!) era impresa ardua, se non impossibile, scalare le vette della carriera universitaria: già durante gli anni universitari ella cominciò a dedicarsi a temi e attività che riguardavano l’emancipazione delle donne. Stein diede una definizione molto esauriente dell’empatia, descrivendola come “il sentire per gli altri rimanendo se stessi”: vivere nei sentimenti dell’altro per giungere ad un comune sentire, facendo propria la gioia, la sofferenza, la speranza di chi ci è accanto. E se oggi studi scientifici sostengono che le donne sono geneticamente più predisposte e capaci di empatia, questo è in parte spiegabile in considerazione del ruolo materno affidato alle donne, che le spinge a prendersi cura dei loro piccoli e a prestare la massima attenzione ai loro segnali comunicativi, anche non verbali.

La Stein dimostra, lavorando su questo tema, quale sia il suo interesse dominante: la persona umana all’interno del suo imprescindibile legame con la dimensione sociale, perché il problema che la sollecitava di più era chiarire la possibilità di comprensione tra le persone. “Quando prendiamo il nostro io come assoluto criterio, allora ci chiudiamo nella prigione della nostra particolarità: gli altri diventano degli enigmi per noi o, cosa ancora peggiore, li modelliamo secondo la nostra immagine e falsiamo la verità storica”.

Così, tornando alle parole di Papa Francesco sul “pianto” dinanzi alle disgrazie altrui, sentiamo che abbiamo a che fare con il “farsi prossimo” evangelico, e, nel concreto, nell’impegno di ciascuno per la giustizia e per la pace. Penso che approfondire la conoscenza della figura singolare di Edith Stein della quale oggi faremo memoria liturgica, possa regalarci luce per una migliore comprensione della vita come relazione empatica e amore tra le persone.