Migranti e pace, binomio sorprendente

Ancora una volta le parole di Francesco ci sorprendono e ci disorientano. Scegliere il tema dei migranti e dei rifugiati per un messaggio così importante come quello per la Giornata mondiale della pace è quasi un ribaltamento di quello che tutti si aspettano. Credo che l’impostazione di questo messaggio sia straordinaria perché ci fa vedere questo fenomeno da un altro punto di vista: un fenomeno come elemento e alimento della pace. E’ qualcosa di inaspettato, che va un po’ contro la percezione di tutti i giorni. Un approccio diretto alla persona e non alle masse, come invece tutti i giorni siamo abituati a guardare. Noi vediamo queste enormi masse di rifugiati che arrivano, ne siamo impauriti e preferiamo non comprenderne le motivazioni. Il Papa va dritto sul singolo, sulla persona, sulla dignità umana che in fondo che cos’è se non foriera di esigenza di pace come tutti noi? Ci si guarda negli occhi e ci si domanda le stesse cose. In fin dei conti tutti desideriamo pace.

Grande poi è l’onestà intellettuale con cui il Santo Padre affronta il tema di questo fenomeno che è strutturale, che oggi ha dei caratteri di eccezionalità ma che esiste ed è sempre esistito. Queste migrazioni ci vedono ai margini di un fenomeno, occorre ribadirlo, molto più ampio e complesso e soprattutto che ci riguarda in piccolissima percentuale, se pensiamo a Paesi come la Siria, la Giordania o il Libano che vivono flussi enormi e noi in Italia riceviamo lo 0,5% dei migranti.

Il messaggio ci richiama anche a costruire delle “città” diverse: come si costruiscono delle città di pace rispetto a un fenomeno simile? Lo si fa con “carpentieri”, mi viene da pensare all’idea di gente che costruisca la pace tutti i giorni in opposizione alle paure, alle xenofobie che sono alimentate dalla mancanza di ascolto, dalla scarsa conoscenza delle motivazioni a causa delle quali queste persone fuggono e da dove fuggono. E’ questo quello che manca. Noi oggi ci troviamo a dover purtroppo fare i conti con un appiattimento culturale, e anche questo si evince dal messaggio, che non ci consente di approcciare a questo fenomeno nella sua realtà.

E poi c’è un grande richiamo alla politica che non deve guardare al calcolo elettorale ma deve affrontare, cosa che oggi non fa nella maniera più assoluta, questo fenomeno in proiezione futura per quello che può creare. Penso per esempio ai minori non accompagnati che possono rappresentare una grande risorsa di integrazione se si applicano quei quattro verbi fondamentali (accogliere, promuovere, proteggere e integrare) a cui il Papa ci richiama, ma che invece si scontrano con questa vulgata per la quale quei bambini sono i futuri terroristi, sono bambini che cresceranno per rubare il lavoro, bambini pericolosi e futuri spacciatori. Serve una grande rivoluzione culturale e questo messaggio è intriso di tutto questo. Trovo una grande vicinanza e comunanza di obiettivi tra il messaggio del Pontefice e la nostra “bibbia” che è la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, nel fatto che comunque la protezione, la sicurezza, l’integrazione oggi sono battaglie che la Chiesa, insieme a organizzazioni come le Nazioni Unite, fanno su questo fronte.

Il Papa parla anche dei limiti fissati dal bene comune nell’accoglienza che dipendono dal modo di gestirla. Ad esempio, i Paesi più piccoli possono fare di più ma dentro un contesto in cui si finanza maggiormente la cooperazione internazionale. Esiste, a mio avviso, un limite all’accoglienza nel senso che non ci possono essere Paesi che fanno da soli. Finora abbiamo visto che è accaduto proprio questo, e l’Italia ne è l’esempio. Probabilmente il richiamo del Papa è proprio a Paesi che devono e possono fare di più nello spirito di quella “città”, di quella Gerusalemme dove governa la pace e la giustizia a cui fa riferimento. L’accoglienza non può essere illimitata. Però non dimentichiamo che in Africa centrale e occidentale in questo momento ci sono 12 milioni di persone in movimento, la metà sono bambini e fuggono da violenze, fame, guerra, povertà. Parliamo di 11 Paesi su 25 solo di quest’area dove negli ultimi 25 anni ci sono stati conflitti. Ricordiamo queste cose quando parliamo di limiti all’accoglienza. Quando parliamo di “aiuti a casa loro” facciamo in modo che in questi Paesi tornino condizioni per le quali le persone possano scegliere di non dover lasciare la loro casa. C’è una frase molto bella della poetessa londinese di origine somala Warsan Shire che dice “nessuno vuole lasciare casa sua a meno che non sia la casa a cacciarlo”. Questo rende l’idea. Senza dimenticare il tema delle migrazioni innescate dai cambiamenti climatici. Uomini, donne e soprattutto bambini che fuggono a causa di grandi tempeste, grandi smottamenti, terremoti. In Africa ci sono popolazioni che vivono un metro al di sotto del livello del mare che rischiano di innescare altre migrazioni ed è urgente porsi anche questo problema.

Andrea Iacomini – Portavoce Unicef Italia