Aldo Moro, protagonista indiscusso e martire dell’Italia repubblicana

Aldo Moro - Foto © Avvenire

Ho frequentato Scienze Politiche presso l’Università La Sapienza di Roma ed ho avuto Aldo Moro come professore di diritto e procedura penale. Ho scelto appositamente quel corso per frequentare le sue lezioni anche se, nel mio percorso di laurea, era un esame opzionale. La mattina del 16 marzo 1978, un giorno infausto, mi trovavo al consiglio di Facoltà di Magistero, sempre della Sapienza, in quanto rappresentante dei cosiddetti “contrattisti”, il nome che avevano a quel tempo coloro che iniziavano il percorso accademico. La facoltà era presieduta dal professor Giorgio Petrocchi, un grande italianista. Mi trovavo seduto vicino al professor Pietro Scoppola e del professore e senatore Adriano Ossicini, entrambi amici ed estimatori di Aldo Moro. A metà mattinata, un altro giovane contrattista arrivò trafelato dicendo che, alla radio, in macchina, aveva sentito del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione degli uomini della scorta da parte delle Brigate Rosse. È stato un momento sconvolgente per tutti. Ciò che, a posteriori, mi ha sempre colpito è stato il fatto che, da rappresentante dei contrattisti, proposi una mozione sul rapimento per invitare tutti alla vigilanza democratica ma, invece, il consiglio di facoltà, non è stato interrotto e la mozione non è stata nemmeno messa ai voti. Oggi mi chiedo se questo fosse dovuto allo sconvolgimento generale oppure per la mancata prontezza nel rispondere subito. Quest’ultima, è bene ricordarlo, ci fu in altri ambiti: in molte fabbriche era stato interrotto il lavoro ed erano state convocate immediatamente delle assemblee per ragionare su quanto era avvenuto. Probabilmente, i docenti universitari, non ebbero la stessa prontezza e lo stesso coraggio. Ciò detto, la notizia del rapimento di Aldo Moro, si diffuse nel Paese provocando enorme sgomento. Ci si rese progressivamente conto che si trattava non solamente di uno dei non pochi episodi delittuosi del terrorismo di quegli anni, ma di un evento chiamato, dagli ambienti vicino alle BR, di “geometrica potenza”, dato il suo svolgimento, destinato a segnare in profondità la storia d’Italia. In particolare, per ciò che riguarda gli studi e le ricerche in quest’ambito, c’è stato un lungo periodo in cui ci si è concentrati su quello che venne poi chiamato il “Caso Moro”, ovvero la sua morte violenta, avvenuta al culmine della stagione del terrorismo. Il focalizzarsi su questi aspetti, in un primo momento, ha messo in ombra la figura, il ruolo e la testimonianza di Aldo Moro. Recentemente invece, gli studi e le ricerche, hanno riguardato la sua persona complessiva, al fine di mettere in evidenza le connessioni tra la sua biografia politica e morale alle vicende dell’Italia repubblicana. Nella storia di quest’ultima, la tragica vicenda del sequestro, della prigionia e della morte di Moro, hanno rappresentato una vera e propria cesura, con un prima e un dopo.

Aldo Moro è stato una figura centrale della storia repubblicana. Egli è stato un intellettuale, un giurista, un dirigente dell’associazionismo cattolico nella FUCI e tra i laureati cattolici. È stato uno dei padri della nostra Repubblica: nel 1946, giovanissimo, è stato eletto deputato nell’Assemblea Costituente. Nel 1955 è già ministro degli Esteri e, in seguito, ministro degli Esteri e, più volte presidente del Consiglio alla guida di un esecutivo detto anche di “centro sinistra organico”. È quindi l’uomo politico che realizza la transizione piena dal centrismo di De Gasperi all’apertura a sinistra, in quel caso rappresentata dal partito socialista nel governo, ma anche il tentativo di passare a una terza fase, attraverso il coinvolgimento nel governo del Paese, del partito comunista italiano che, a metà degli anni ’70, ha operato definitivamente la separazione da Mosca ed aveva un grandissimo seguito in Italia. Aldo Moro aveva un interlocutore attento nel segretario del PCI Enrico Berlinguer.

Oggi, nel senso comune diffuso, soprattutto tra i giovani, viene percepito come anziano ma, in realtà, non è così. Viene eletto molto giovane in seno all’Assemblea Costituente, la quale ebbe al suo interno giovani e giovanissimi e, tra questi, Aldo Moro, ha fatto parte della “Commissione dei 75”, ovvero coloro che materialmente, dopo lunghi dibattiti, hanno scritto il testo costituzionale. Egli, in particolare, all’interno della prima sottocommissione, è stato relatore per la parte della Costituzione che riguarda i diritti dell’uomo e del cittadino. Un aspetto ulteriore della sua personalità che ha avuto un forte riverbero in ogni fase della sua vita riguarda il fatto che, è stato sempre un docente brillante e disponibile. Da giovanissimo è diventato professore di ruolo ed ha sempre avuto un profondo amore per l’insegnamento. Faceva lezione all’università, sempre puntualissimo e senza mai affidarla a un suo collaboratore. Tutto ciò aveva un imprinting familiare perché, il padre Renato Moro, era un ispettore scolastico e la madre un insegnante elementare. In questa nuova stagione di studi, focalizzati sulla grandezza della sua figura complessiva, voglio consigliare almeno tre libri da leggere: “Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma” di Guido Formigoni, “Aldo Moro, la storia e le memorie pubbliche”, curato da Maurizio Ridolfi e “Una vita, un paese. Aldo Moro e l’Italia del Novecento”, curato da Renato Moro, uno storico di grande rilievo e nipote di Aldo Moro. Quest’ultimo testo è il frutto di un convegno che è stato fatto per i 25 anni dalla morte dello statista, il quale aveva un titolo emblematico, ovvero “Studiare Aldo Moro per capire l’Italia”. Aldo Moro, quindi, è stato testimone e protagonista della storia del nostro Paese. L’Italia ha avuto sviluppi differenti rispetto a quelli che lui pensava e sognava, con forti contrasti interni e tra l’establishment statunitense, com’è emerso da numerosi documenti resi pubblici. Con la Santa Sede invece, non ci sono stati particolari contrasti. Tra Moro e Papa Paolo VI c’era un forte legame e, quest’ultimo, al suo funerale, ha pronunciato una bellissima omelia per l’amico scomparso. Paolo VI, per tentare di salvare Aldo Moro, si era rivolto agli “uomini delle Brigate Rosse”, puntando su un residuo di umanità al loro interno, ma ciò non c’è stato, dato la lunga prigionia e la morte atroce di Aldo Moro, protagonista indiscusso e martire dell’Italia repubblicana.