Pace e sicurezza nascono dalla giustizia sociale

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“Se talvolta inclinassi la bilancia della giustizia, fa’ che ciò avvenga non sotto il peso dei doni, ma per un impulso di misericordia”, scrive Miguel De Cervantes. Celebrare l’odierna Giornata internazionale della giustizia sociale ha un duplice significato: ribadire che “non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono” (come testimonia il Magistero pontificio) e proclamare solennemente che il progresso civile e lo sviluppo economico si fondano sui diritti umani e le libertà fondamentali. L’Onu, istituendo nel 2009 questa specifica ricorrenza, ha sancito che la globalizzazione e l’interdipendenza aprono nuove strade, sia attraverso il commercio, gli investimenti e i flussi di capitale, sia tramite i progressi della tecnologia. Ma le drammatiche cronache quotidiane dimostrano che senza giustizia sociale è impossibile stimolare la crescita dell’economia planetaria, lo sviluppo e il miglioramento degli standard di vita nel mondo.

Le guerre in corso a nord e sud dell’Europa aggravano e moltiplicano le sfide da affrontare, ossia le crisi finanziarie, l’insicurezza, la povertà, l’esclusione e la disuguaglianza. “La giustizia è una virtù da coltivare mediante l’impegno di conversione personale e da esercitare insieme alle virtù cardinali: prudenza fortezza, temperanza”, insegna papa Francesco. All’umanità si pongono ostacoli significativi per un’ulteriore integrazione e per una piena partecipazione all’economia globale dei paesi in via di sviluppo. La giustizia sociale non è un’astrazione o un’utopia. Nella Bibbia l’uomo giusto si riconosce dall’adempimento onesto e fedele dei doveri verso Dio: è colui che compie la volontà divina. “Ogni impegno per la pace implica e richiede l’impegno per la giustizia – avverte il Pontefice -. La pace senza giustizia non è una vera pace, non ha solide fondamenta né possibilità di futuro”. Per San Tommaso “la giustizia ha a che fare con l’altro”, è uno dei modi dell’incontro con l’altro. Essere in relazione con il prossimo secondo i principi della giustizia sociale equivale alla “volontà perpetua e costante di rendere a ciascuno il suo diritto”.

La giustizia sociale consiste nel dare “a ciascuno il suo” e si traduce nel rendere a ciascuno la coscienza di sé e la libertà. Il Vangelo non condanna i ricchi, ma l’idolatria della ricchezza. Il nostro sistema si mantiene con la cultura dello scarto, così crescono indigenza e disparità. La missione della “Chiesa in uscita” è incentrata proprio su povertà, immigrazione, giustizia sociale, salvaguardia del creato. “La globalizzazione ha aiutato molte persone a sollevarsi dalla povertà, ma ne ha condannate tante altre a morire di fame”, spiega Francesco riconoscendo che in termini assoluti è cresciuta la ricchezza mondiale, ma sono anche aumentate le disparità e sono sorte nuove povertà. Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. E così si scarta quello che non serve alla logica del tornaconto.

E’ quell’atteggiamento che scarta i bambini e gli anziani, e che ora colpisce anche i giovani. “Mi ha impressionato apprendere che nei Paesi sviluppati ci sono tanti milioni di under 25 che non studiano e non lavorano – afferma il Papa – Li ho chiamati i giovani ‘né-né’: non studiano perché non hanno possibilità di farlo, non lavorano perché manca il lavoro”. Inoltre la cultura dello scarto porta a rifiutare i bambini anche con l’aborto. A preoccupare sono i tassi di natalità crollati in Occidente. Così si perde il legame con il futuro. La cultura dello scarto porta parimenti alla “eutanasia nascosta” degli anziani, che vengono abbandonati invece di essere considerati come la nostra memoria. Eppure il legame con il passato è una risorsa di saggezza per il presente. Quale sarà il prossimo scarto? Da qui l’appello papale a fermarsi in tempo, a non rassegnarsi, a non considerare questo stato di cose come irreversibile. Occorre cercare di costruire una società e un’economia dove siano centrali l’uomo e il suo bene, e non il denaro. Quindi c’è bisogno di etica nell’economia e nella politica. I leader religiosi devono aiutare, dare indicazioni etiche.

Il pastore può fare i suoi richiami ma, come ricordava Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in Veritate”, servono uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo. Nella consapevolezza che l’amore e la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un dono da chiedere. E al tempo stesso c’è bisogno secondo Francesco che questi uomini e queste donne si impegnino, ad ogni livello, nella società, nella politica, nelle istituzioni e nell’economia, focalizzandosi sul bene comune. Perciò non si può più aspettare a risolvere le cause strutturali della povertà. L’esigenza è quella di guarire le società da una malattia che può solo portare verso nuove crisi. “I mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un’autonomia assoluta – avverte il Pontefice -. Senza una soluzione ai problemi dei poveri non risolveremo i problemi del mondo. Servono programmi, meccanismi e processi orientati a una migliore distribuzione delle risorse, alla creazione di lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso”. Quindi risuona forte e profetico il monito dell’enciclica “Quadragesimo Anno” contro l’imperialismo internazionale del denaro. Del resto già Cicerone sosteneva che “non può essere veramente onesto ciò che non è anche giusto”.