Signifredi: “La guerra è la più grande croce del nostro tempo”

Da dove ripartire per ricucire un’epoca lacerata dalla “terza guerra mondiale a pezzi” e dall’esclusione sociale. Lo spiega a Interris.it Massimiliano Signifredi della Comunità di Sant’Egidio

Nell'immagine: a sinistra foto di Антон Дмитриев su Unsplash, a destra Massimiliano Signifredi (per gentile concessione)

Il mondo contemporaneo vive una vera e propria “passione”. Le sofferenze causate dalle guerre che continuano a scoppiare, l’ultima lo scorso 7 ottobre tra Israele e Hamas, mentre di tante altre, come quella in Siria in corso da 13 anni, non se ne vede la fine. Gli effetti della crisi climatica che colpiscono le popolazioni meno responsabili delle emissioni climalteranti e più vulnerabili, ma impattano anche le nostre società, i nostri ambienti e le nostre economie. L’aumento delle diseguaglianze che si traduce in meno diritti per i più fragili, i più vulnerabili, i penultimi e gli ultimi, che rischiano di essere dimenticati. Le “fiaccole accese nella notte”, per rischiarare queste tenebre odierne, sono i “pezzi di pace” e la “cultura della cura”, spiega a Interris.it Massimiliano Signifredi della Comunità di Sant’Egidio.

L’intervista

Quali sono le “croci” più pesanti di questa epoca?

“La guerra è la più grande croce del nostro tempo ed è all’origine di tante sofferenze. Nel mondo globalizzato poi le guerre coinvolgono non solo i Paesi che le fanno e quelli che le subiscono, ma fanno sentire i loro effetti anche a chilometri di distanza. Basti pensare alle conseguenze della guerra in Ucraina, come l’aumento dei prezzi dei carburanti e dei generi alimentari che colpisce tanti altri Paesi, tra cui molti Stati africani. La guerra genera odio e questo avvelena i rapporti nella società, introducendo l’idea che bisogna sempre schierarsi. Le stesse parole di papa Francesco, che fin dall’inizio della guerra in Ucraina ha invitato ai negoziati e alla pace, vengono male interpretate e a volte respinte”.

Mentre si esaltano la performance individuale, il risultato e il successo, l’uomo è sempre più solo e comincia a esprimere sempre di più il proprio disagio, soprattutto i giovani. Come rinsaldare la cultura della cura?  

“Nelle nostre società esistono anche un’esclusione e un conflitto intergenerazionale, si diffondono messaggi di rivalità e competizione. Quando diminuiscono le risorse a disposizione, bisogna fare in modo che non ne benefici solo una parte: le società si tengono se ci sono solidarietà e senso di un destino comune. L’esperienza della pandemia ci ha fatto recuperare l’idea di una comunità che si salva insieme o comunque insieme affronta le difficoltà. La cultura della cura si sviluppa dando innanzitutto a ciascuno in posto dignitoso dove vivere e da questo principio nascono anche le iniziative della Comunità di Sant’Egidio in favore dei più fragili, le persone con disabilità e gli anziani, aiutandoli a vivere insieme con altri a casa propria, il cosiddetto cohousing, che costituisce un’alternativa possibile all’istituto”.

Anche se non più sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale, sono ancora tanti i conflitti in corso nel mondo. Quali sono le crisi dimenticate?

“La guerra in Terra Santa è un tipico esempio di crisi dimenticata da tutti. Va avanti praticamente da settant’anni, con tregue e periodi in cui il conflitto si trascinava a bassa intensità, con attentati e rappresaglie. Ma dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre e la pesante reazione di Israele, la guerra è esplosa nella sua drammaticità. Ma sono tanti gli angoli del mondo dimenticati, come la Siria in guerra da tredici anni, lo Yemen, i conflitti senza fine nel continente africano, dal Congo al Sud Sudan, e ora la terribile guerra in Sudan”.

Come si costruiscono ponti di pace nell’epoca della “guerra mondiale a pezzi”?

“Cercando il dialogo, promuovendo una cultura del negoziato e riducendo i motivi di conflittualità anche all’interno delle società. Pure in Europa occidentale, dove viviamo in pace da ottant’anni, si è diffuso nel linguaggio comune un lessico bellicoso e si è riabilitata la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, proprio quando va scomparendo la generazione che ha vissuto la Seconda guerra mondiale. Invece di troppi messaggi di odio e aggressività, occorre costruire pezzi di pace, partendo dall’educazione dei più giovani”.

Dove opera attualmente la vostra rete di solidarietà?

“La nostra comunità in Ucraina sta costruendo pezzi di pace in un Paese esposto a continui attacchi, di recente pure con i missili ipersonici, che la contraerea difficilmente intercetta e colpiscono prima che i civili riescano a ripararsi nei rifugi. Mentre purtroppo il flusso della solidarietà internazionale si è affievolito, Sant’Egidio continua a distribuire aiuti umanitari tra gli sfollati – con una grande mobilitazione di tutte le nostre Comunità in Italia e in Europa – e sostiene le persone maggiormente colpite dal conflitto, soprattutto i bambini e gli adolescenti, che sono una generazione perduta a causa della guerra”.