Disabilità, non solo assistenza sanitaria ma anche bioetica e sociale

La piena inclusione delle persone con disabilità nella società passa primariamente attraverso un cambio del paradigma attuale. La Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia nell’ormai lontano 2009, ci dice che è necessario passare da un modello sanitario a uno bioetico e sociale. Questo ci fa capire che, chi ha scritto quella norma, era al passo con tempi, mentre noi invece non lo siamo ancora. La disabilità viene vista come una patologia che può derivare da una malattia rara o cronica, da un trauma, ma è una condizione prettamente sociale. È necessario prendersi carico della persona con disabilità e della sua famiglia, non solo dal punto sanitario, ma con una serie di sostegni psicologici, assistenziali, ovvero mettendola nelle condizioni di avere le stesse opportunità di tutti gli altri. Queste persone, chiaramente, hanno delle possibilità diverse rispetto a una determinata condizione fisica o psicologica. Non possono però partire svantaggiati rispetto alle potenzialità messe in campo, ma oggi purtroppo è così. Nel campo sanitario ad esempio, con tutti i limiti che ci sono, la prestazione, prima o poi, verrà erogata ma, dal punto di vista sociale invece, è molto più complicato avere un supporto. Questo per delle persone che, nella maggior parte dei casi, hanno bisogno di un modello di presa in carico sociale, ha delle ripercussioni negative in termini di capacità assistenziale.

Quindi, per migliorare l’attuale situazione, non possiamo far altro che seguire ciò che è scritto nella Convenzione Onu e quello che ci dicono i familiari caregiver. Coloro che vivono una determinata condizione conoscono bene i loro bisogni e devono essere ascoltati. Purtroppo, nei casi in cui la persona con disabilità, per ragioni sanitarie, non sia in grado di decidere per sé stessa, il caregiver e/o la sua famiglia deve essere una figura centrale per stilare il Progetto di Vita e decidere il tipo di assistenza necessaria.