CASO REGENI, RENZI: “CI FERMEREMO QUANDO TROVEREMO LA VERITA'”

L’Italia farà di tutto per accertare la verità sulla morte di Giulio Regeni, comprese “azioni concrete” a sostegno della famiglia del ricercatore che è tornata a chiedere con fermezza giustizia. Lo ha assicurato Matteo Renzi al suo secondo giorno della visita negli Usa.

“Ci fermeremo – ha detto a Chicago – solo quando troveremo la verità, quella vera e non di comodo”. Il premier ha ribadito che “il dolore della famiglia Regeni è quello di tutta l’Italia, noi siamo con il cuore, la mente e le azioni concrete a sostegno della famiglia e lo abbiamo detto in tutte le sedi pubbliche, istituzionali e private”.

Si tratta, in ogni caso, di una vicenda molto complicata, nonostante venga seguita dal procuratore Pignatone “uno dei più importanti e autorevoli magistrati in Italia”. L’auspicio è che “si possa finalmente trovare il colpevole o il colpevoli. Non restituiremo Giulio alla famiglia, ma onore all’Italia, all’Egitto e a chi sta soffrendo. C’è il massimo impegno e sforzo affinché i magistrati italiani possano avere accesso a tutte le carte. Siamo impegnati perché ciò accada senza alcun tentennamento”.

Intanto la Procura generale egiziana ha annunciato di aver creato un “squadra d’inchiesta” per coordinare le Procure coinvolte nelle indagini sull’uccisione di Giulio Regeni. “Vista la diversità dello spazio geografico dove sono state rinvenute le prove durante le indagini sulla morte di Regeni, il procuratore generale ha ordinato la formazione di una squadra d’inchiesta dell’Ufficio del procuratore generale” stesso “per proseguire le inchieste sull’omicidio al fine di giungere alla verità”, si annuncia in un comunicato. La nota premette un paragrafo in cui si ricorda l’episodio dei rapinatori uccisi nella capitale egiziana: “La procura dell’est del Cairo prosegue le proprie indagini sia sullo scambio di colpi di arma da fuoco tra la polizia e gli accusati, sfociato nella morte degli accusati stessi, sia sui furti che hanno commesso e, in questo quadro, alcune vittime hanno riconosciuto gli accusati attraverso le loro carte d’identità”.