Usa, sportivi in rivolta contro Trump, lui si difende: “Chiedo rispetto per la nostra bandiera”

“Questa vicenda non ha niente a che vedere con la razza. Riguarda solo il rispetto per la nostra bandiera e per il nostro Paese”. Donald Trump torna sulla protesta dei giocatori di football, inginocchiatisi su tutti i campi durante l’esecuzione dell’inno americano. Un gesto che fatto il giro del mondo, mettendo in serio imbarazzo l’amministrazione guidata dall’ex tycoon, la cui popolarità è scesa ai minimi storici a meno di un anno dall’elezione alla Casa Bianca. Dal football la protesta è dilagata anche al basket e persino al football. Una presa di posizione che ricorda quella, storica, dei due atleti di colore Tommie Smith e John Carlos, i quali dal podio delle olimpiadi di Città del Messico del 1968 alzarono il pugno in segno di solidarietà con le migliaia di afroamericani che in quegli anni lottavano per il riconoscimento dei diritti civili.

A dare il là alla protesta sono stati i giocatori dei Jacksonville Jaguars e dei Baltimore Ravens -due team della lega professionistica di football – che hanno scelto come teatro il mitico stadio londinese di Wembley per mettere in scena la loro denuncia: tutti in ginocchio, l’uno abbracciato all’altro, in segno di sfida al presidente. Non solo gli atleti ma anche i membri dello staff delle due squadre, gli allenatori, i delegati, i massaggiatori. E al loro fianco anche i proprietari dei club in segno di solidarietà. Poi via via la stessa scena su tutti gli altri campi in cui si è giocata la giornata di campionato. Insomma, una vera e propria rivolta appoggiata dalla Lega.

Imbufalito, Trump con un tweet ha chiesto di boicottare le partite e ancora una volta di cacciare via dai campi di football e di licenziare i giocatori che per protesta si inginocchiano e non cantano l’inno. Il primo fu il quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick, poco più di un anno fa, per denunciare la violenza della polizia verso gli afroamericani ed esprimere solidarietà al movimento “Black Lives Matter“. Da allora la campagna #takeaknee, inginocchiamoci, ha fatto molti proseliti, e non solo nel mondo del football.

Lo sdegno per la parole di Trump è montato soprattutto sui social. La star della Nba LeBron James (che aveva definito Trump “uno straccione” per aver attaccato l’altra stella della Nba Stephen Curry) è tornato alla carica accusando il presidente di “usare lo sport per dividere ancor di più gli americani”.

Bruce Maxwell è diventato il primo giocatore dello sport più popolare d’America, il baseball, a inginocchiarsi durante l’inno in segno di solidarietà verso i colleghi colpiti dagli attacchi del presidente. I massimi dirigenti delle leghe professionistiche di football, baseball e basket si sono schierati in massa con gli atleti e con il loro diritto di protestare e di esercitare la libertà di espressione. “Lo possono fare ma fuori dal campo da gioco”, ha replicato il ministro del Tesoro di Trump, Steve Mnuchin, guadagnandosi una buona dose di insulti sui social. Ma cominciano a farsi sentire anche gli sponsor, con Under Armour – il colosso dell’abbigliamento sportivo che ha come uomo immagine Curry e che in passato ha avuto come testimonial anche Mohammed Alì – che si è schierata con la protesta.