MOTU PROPRIO: IL PAPA ACCELERA SULLA NULLITA’ DEL MATRIMONIO

Processi più brevi, ampliamento delle competenze episcopali, nuovi motivi di ricorso. Sono alcune delle novità introdotte dalla riforma del processo canonico varata da Papa Francesco con i Motu Proprio “Mitis Iudex Dominus Iesus” e “Mitis et Misericord Ieusu” che intervengono rispettivamente sul codice canonico ordinario e su quello delle chiese orientali. Due le linee guida inseguite: quelle emerse dal lavoro dell’allora cardinal Ratzinger durante gli ultimi anni di Pontificato di Giovanni Paolo II (mai pubblicate ufficialmente) e le risultanze dell’ultimo Sinodo sulla famiglia del 2014. Uno degli obiettivi perseguiti dal provvedimento è quello di andare incontro a quei divorziati risposati che intendono creare una nuova unione stabile. Il Pontefice ha deciso, infatti, di dare “con questo Motu proprio disposizioni con le quali si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio”. Per assicurare il risultato si prevede sia che la nullità possa essere accertata direttamente dal Vescovo-giudice – se le cause sono “evidenti” – sia che non siano più necessarie due sentenze uguali ma ne basti una sola essendo sufficiente la “certezza morale e raggiunta dal primo giudice a norma di diritto”.

Con riferimento al primo punto il nuovo comma 5 del can. 1683 stabilisce: “allo stesso vescovo diocesano compete giudicare le cause di nullità del matrimonio con il processo più breve ogni qualvolta la domanda sia proposta da entrambi i coniugi o da uno di essi, col consenso dell’altro; oppure quando “ricorrano circostanze di fatti e di persone, sostenute da testimonianze o documenti, che non richiedano una inchiesta o una situazione più accurate, e rendano manifesta la nullità”. Il presule, ovviamente, può delegare queste funzioni a organismi diocesani ma è invitato a monitorarne con attenzione lo svolgimento. In ottemperanza a quanto previsto dal Concilio Vaticano II si auspica “che nelle grandi come nelle piccole diocesi lo stesso Vescovo offra un sostegno della conversione delle strutture ecclesiastiche e non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale”. A tal fine la costituzione “del giudice unico, comunque chierico”, in prima istanza viene rimessa alla responsabilità episcopale, “che nella responsabilità pastorale della propria potestà giudiziale dovrà assicurare che non si indulga a qualunque lassismo”. Viene ripristinato, poi, l’appello alla sede metropolitana “giacché tale ufficio di capo della provincia ecclesiastica, stabile nei secoli, è un segno distintivo della sinodalità nella Chiesa”.

La nuova disciplina apporta anche modifiche alle cause di nullità, cui vengono aggiunte la “mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo stesso delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione”. Tra gli altri motivi si annoverano anche “la violenza fisica inferta per estorcere il consenso” e “la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici”. Nell’intenzione del Papa, e sempre per facilitare l’iter, è prevista la gratuità del giudizio “Per quanto possibile – si legge nel testo – le Conferenze episcopali, salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali, che venga assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati”.

“Il processo canonico è per la dichiarazione di nullità non si tratta perciò di un processo che conduca all’annullamento del matrimonio” ha sottolineato il card. Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e membro della Commissione speciale, spiegando che “nullità è diversa dall’annullamento”. La prima viene, infatti, semplicemente accertata dal giudice col risultato che il negozio giuridico non produce effetti sin da quando è contratto. La seconda, invece, interrompe il rapporto tra le parti per la scoperta di vizi meno gravi e quindi si protrae sin dal momento in cui è pronunciata.

Mons. Pio Vito Pinto, Decano della Rota Romana ha evidenziato la portata storica del Motu Proprio. Il processo per la nullità “era rimasto identico per tre secoli”, ha commentato, dai tempi della riforma di Benedetto XIV. Era stato Papa Lambertini a “introdurre la sentenza doppia conforme, che viene ora superata con la riforma di Papa Francesco. Un’altra riforma c’era stata con Pio X e poi una riforma del codice canonico nel 1983, ma anche in questi casi era stato lasciato il processo come Lambertini lo aveva creato”.