“Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”

«Ella si voltò»
«Conversa illa»

Martedì fra l’Ottava di Pasqua – Gv 20,11-18

In quel tempo, Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto».  Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò subito ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Il commento di Massimiliano Zupi

È curioso questo incontro di Maria con Gesù: due volte si volge verso di lui (vv.14.16). Come è possibile? Se infatti già si era voltata verso colui che credeva il giardiniere, come può poi voltarsi una seconda volta verso la medesima persona, quando si sente chiamata per nome, «Maria!»? Gli era già di fronte, in faccia. A metà del Vangelo di Marco, nel capitolo ottavo (vv.22-26), si racconta di un miracolo con una particolarità analoga. Gesù guarisce un cieco; il suo intervento però deve essere ripetuto: la prima volta infatti l’uomo vede come alberi che camminano; solo la seconda volta vede distintamente ogni cosa. La conversione, come la guarigione della vista, è un processo complesso, perché deve coinvolgere tutta la persona, in profondità. In greco, conversione è metánoia: significa, letteralmente, un cambiamento (metá-) della mente e del cuore (-nûs), del modo di pensare e di sentire; può essere paragonata ad un’inversione di marcia, di centottanta gradi. In latino, invece, conversione è conversĭo. Ora, è interessante che in origine il vocabolo designava la rivoluzione dei pianeti: un movimento, quindi, non di centottanta, bensì di trecentosessanta gradi. Conversĭo infatti, etimologicamente, è un volgersi (-vertĕre) tutt’intorno (cum-).

Ecco, Maria si sta convertendo: per questo deve volgersi due volte; deve compiere due rotazioni di centoottanta gradi, per fare infine un giro completo su sé stessa: la conversione deve coinvolgere ogni aspetto della sua vita, in modo da farla alla fine ritornare a sé stessa, ritrovare e prendere possesso di sé.
Maria sta fuori del sepolcro e piange. Il pianto, insieme al riso e alla parola, è una prerogativa squisitamente umana. Le lacrime fuoriescono dagli occhi come il sangue da un taglio: esprimono una ferita. Maria ha contemplato il Crocifisso ed è stata trafitta dalle sue stesse ferite. Come la parola, come il bacio, anche il pianto costituisce l’apertura di un varco: chi piange è vulnerabile, ha abbattuto il muro frammezzo, di difesa e di separazione (Ef 2,14-16); ora si può entrare al suo interno, lo si può toccare. Gesù pronuncia il suo nome: da adesso egli è dentro di lei, non più fuori. Questa è la conversione: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Maria però non può trattenere il Risorto: essere sua sposa infatti significa piuttosto farlo crescere dentro di sé, trasfigurarsi fino al punto di rifletterlo nel proprio volto (2 Cor 3,18). Per fare questo, deve compiere il suo stesso cammino: a tale scopo, va a Gerusalemme, dagli Undici; discendendo verso i suoi fratelli, comincia anche lei la sua salita al Padre. L’esistenza terrena diventa una bella ascesa, lungo la quale conformarsi sempre di più a lui, per essere una cosa sola con lui, per avere il suo stesso volto e così annunciare, non con le parole, ma con la propria persona: «Ho visto il Signore!».