Dalla schiavitù alla gloria degli altari: Santa Giuseppina Bakhita

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Giuseppina Bakhita (1869-1947) proclamata santa da Giovanni Paolo II (1978-2005) il primo ottobre, durante il grande Anno Santo del 2000, è stata una suora sudanese naturalizzata appartenente alla Congregazione delle Figlie della Carità. Dalla schiavitù alla gloria degli altari. Si può sintetizzare così la vita della santa, la “Madre Moretta”, com’era chiamata da chi ebbe il privilegio di conoscerla e apprezzarne le sue virtù.

Nata in terra africana, ad Olgossa, un piccolo villaggio del Sudan, a soli sei anni fu rapita dai negrieri e venduta più volte sui mercati di schiavi di El Obeid e di Kartoum: sopportò infinite umiliazioni e sofferenze fisiche e morali; venne anche sottoposta al tatuaggio per incisione e poco mancò che ne morisse, i rapitori la soprannominarono Bakhita che in arabo significa fortunata.

A 14 anni venne comprata dal console italiano del Sudan, Callisto Legnani, con il proposito di renderle la libertà. Leggiamo in una biografia della santa: “Per la prima volta, dal giorno del suo rapimento, poté dormire in un letto e, con piacevole sorpresa, si accorse che nessuno nel darle comandi, usava più lo staffile, anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali; nella casa del console, conobbe la libertà, l’affetto e momenti di felicità, anche se sempre velati dalla tristezza di una famiglia propria perduta per sempre…”.

Nel 1884, il console dovette fuggire dalla capitale Kartoum a causa della guerra, e Bakhita venne affidata ad Augusto Micheli e sua moglie Turina, insieme raggiunsero il porto di Suakin sul Mar Rosso e dopo un mese si imbarcarono per Genova. Arrivati in Italia, poco dopo ai coniugi Micheli, residenti a Zianigo, una frazione di Mirano, vicino Venezia, nacque una bambina, chiamata Mimmina, e Bakhita divenne la sua bambinaia.

Cinque anni più tardi, nel 1889 dopo aver rifiutato l’invito a tornare in Africa, con la famiglia Micheli, la futura santa si fermò presso le Figlie della Carità Canossiane di Venezia. Il 9 gennaio del 1890 Bakhita ricevette il battesimo e le fu imposto il nome di Giuseppina Margherita Fortunata, l’8 dicembre del 1896, poté pronunciare i primi voti religiosi. Nel 1902 fu trasferita nel convento di Schio in provincia di Vicenza, dove lavorò in cucina e come sagrestana e nel corso della Grande Guerra, si adoperò come infermiera, nello stesso convento adibito ad ospedale.

Dal 1922 divenne la portinaia del convento, e stabilì con gli abitanti della cittadina veneta rapporti cordiali, tanto che gli stessi la chiamarono la “Madre Moretta” per il colore della sua pelle. Nel 1927 Bakhita, il 10 agosto emise i voti perpetui. Morì, dopo una lunga malattia l’8 febbraio del 1947, e il suo corpo riposa nella chiesa della Sacra Famiglia a Schio.

Dal 2015, Papa Francesco istituì in occasione della festa di Santa Giuseppina Bakhita, l’8 febbraio, la “Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. La “Giornata” giunta alla decima edizione ha come tema quest’anno: “Camminare per la dignità. Ascoltare. Sognare. Agire”.