La vocazione del dialogo alla Gmg di Lisbona: il Magistero per i giovani

Ecco perché già nel 1985 c’era solo da abbandonarsi nelle mani di Dio. Lo Spirito Santo si sarebbe “inventato” le occasioni giuste, per far sprigionare le sue novità

Gmg
La grande adunata del 2000

Alla Gmg di Lisbona il coro “Questa è la gioventù del Papa ha accompagnato” ogni incontro tra Francesco e i papa boys. Ora in Portogallo come nel 1985 in Marocco il Magistero verso i giovani è missione fondamentale per la Chiesa universale. Le nuove generazioni al centro del dialogo, quindi. Come nel terzo viaggio di Giovanni Paolo II in Africa, nell’agosto del 1985. Un viaggio faticosissimo, per la lunghezza, per i tanti incontri. E poi, quell’ultima tappa in Marocco, un Paese ufficialmente islamico, continuava a destare apprensione in Giovanni Paolo II. C’era il rischio di essere fraintesi, di provocare inutili polemiche. Ma re Hussein aveva insistito, era riuscito a convincerlo. E adesso, a entrare nello stadio di Casablanca, ogni dubbio sparì. Gli spalti e buona parte del prato erano una immensa macchia bianca. Ottantamila giovani con la divisa candida, perché in quei giorni stavano partecipando a una manifestazione sportiva. Sarebbe rimasto l’unico grande incontro di massa avuto da Karol Wojtyla, durante il suo pontificato, con il mondo musulmano. Il discorso pronunciato dal Papa, come gli altri, era stato preparato prima del viaggio, in Vaticano. Ma – a giudicare dagli applausi dei giovani, dopo i passi più importanti – era stato pensato e scritto con grande sensibilità e lungimiranza. A cominciare dall’inizio, quando Giovanni Paolo II spiegò perché fosse andato lì, in Marocco, senza giri di parole, senza sotterfugi.Gmg

Alle origini della Gmg

Karol Wojtyla si presentò come vescovo di Roma, e come credente in Dio di fronte a credenti in Dio. Con molta semplicità, vorrei darvi qui la mia testimonianza di ciò in
cui credo”. A quel punto, il Papa entrò nel vivo della questione. Cristiani e musulmani, in quanto figli di Abramo, credono nello stesso Dio, “il Dio unico, il Dio vivente”, hanno molte cose in comune, come credenti e come uomini. E perciò devono rendere insieme testimonianza dei loro valori spirituali. Dimenticando gli odi e le intolleranze del passato. “Ci siamo trovati su posizioni opposte e abbiamo consumato le nostre energie in polemiche e guerre. Io credo che Dio ci chiami, oggi, a cambiare le nostre vecchie abitudini. Dobbiamo  rispettarci. E dobbiamo stimolarci a vicenda nel compiere opere di bene”. Quell’incontro e soprattutto quel discorso suscitarono una forte attenzione in molti ambienti, specialmente quelli moderati, dell’arcipelago arabo. Non solo, ma, proprio per la loro positività, suggerirono al Papa come impostare un modello di “convivenza” da seguire nei rapporti con le altre religioni. Ciascuna, ovviamente, conservando la propria identità spirituale. Ma senza più rivalità. Senza più lasciare che la fede diventasse fonte di intolleranza, di dissidio, anziché essere promotrice, costruttrice di pace. Poi, c’era solo da abbandonarsi nelle mani di Dio. Lo Spirito Santo si sarebbe “inventato” le occasioni giuste, per far sprigionare le sue novità.