Cosa significa per un genitore caregiver il Progetto di Vita

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Cosa significa per un genitore caregiver il Progetto di Vita? È necessario chiarire bene questi elementi per fare chiarezza. Il caregiver è una persona che si prende cura (e non che, troppo semplicemente, cura), quindi che offre assistenza. In particolare, quando si tratta di assistere un familiare, lo fa senza ricevere alcun compenso – un proprio congiunto che non è in grado autonomamente di svolgere gli atti necessari alla vita quotidiana a causa o dell’età avanzata, o di una disabilità o anche di una malattia temporanea. Quasi sempre all’inizio del percorso il familiare, nel campo dell’autismo dobbiamo parlare sempre di genitori, è del tutto privo di una preparazione specifica. Insomma, almeno al principio, essere caregiver significa anche combattere con l’insostenibile pesantezza della propria ignoranza (nessuno di noi nasce “imparato”) e presuppone un carico emotivo e fisico (chiamiamolo tranquillamente stress, così ci intendiamo) di grado molto elevato. Così all’ inizio, pur avendo il diritto di essere ignorante e di dover chiedere aiuto, il genitore ha comunque il dovere di essere e diventare anche caregiver.

Il concetto di Progetto di Vita prende spunto dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità che all’articolo 19, riconosce il “diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adotta misure efficaci e adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società”.

Il Progetto di Vita quindi, è, o dovrebbe essere, lo strumento per programmare e guidare l’azione delle parti coinvolte nel raggiungimento di un miglioramento del percorso esistenziale della persona e della sua qualità di vita. Ciò detto, per il genitore caregiver, il Progetto di Vita può rappresentare il momento in cui qualcuno esterno al nucleo familiare, in un certo senso, si occupa e si preoccupa del proprio figlio (diventando così un aiutante se non addirittura un sostituto caregiver) e questo può portare a due sentimenti  contrapposti: di soddisfazione/sollievo da una parte, ma quasi anche di “privazione” dall’altra come se il genitore nel suo inconscio vedesse che altre persone decidono il destino del figlio al suo posto e questo porta il genitore (più spesso le mamme) a sentirsi quasi sminuito nel suo ruolo (peraltro non richiesto e non gradito) di caregiver.

Quindi, il compito dei vari operatori che collaborano alla stesura e al buon andamento del Progetto di Vita è anche quello di offrire le migliori garanzie possibili alla famiglia, ai genitori in particolare: serve alla persona con disabilità che è e rimarrà sempre al centro del progetto. Un Progetto di Vita ben delineato e strutturato non riguarda solo la persona, ma guarda alla persona nel suo contesto con quello che si può definire uno “sguardo allargato”. Insomma, da parte del genitore, ci deve essere fiducia verso le altre figure che predispongono il Progetto di Vita del loro figlio e, questa fiducia, si può creare solo con una costante e serena collaborazione.