Santi Filippo e Giacomo, i primi discepoli chiamati ad essere testimoni del Signore risorto

Filippo e Giacomo sono tra i primi discepoli che il Messia chiama a essere testimoni personali del Signore risorto. Filippo insegna a ogni cristiano l’importanza di lasciarsi conquistare da Gesù, stare con lui, invitando gli altri a condividere questa indispensabile compagnia per trovare la vera vita. L’esempio di Giacomo invita i fedeli in Cristo a non pianificare la vita in maniera autonoma, ma a fare spazio alla volontà di Dio, che conosce il vero bene per le sue creature. Storicamente sono tanti gli aspetti che accomunano questi due Santi: entrambi fanno parte dei Dodici chiamati da Gesù “apostoli” ossia i discepoli a Lui più vicini. Insieme vivono col Maestro e lo seguono, entrambi intraprenderanno l’attività di evangelizzazione morendo da martiri. Ancora insieme, infine, saranno sepolti nella Basilica dei Santi XII Apostoli a Roma, inizialmente dedicata solo a loro due.

Le informazioni che abbiamo su Filippo giungono dal Vangelo di Giovanni. Proviene da una piccola città sul lago di Genesaret, Betsaida (lo stesso luogo d’origine di Pietro e di Andrea) ed è di origine ebraica sebbene il suo nome sia greco. Discepolo di Giovanni il Battista, è tra i primi a ricevere la chiamata del Salvatore e incontrando Natanaele gli dice: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazaret”. Alla risposta alquanto scettica di Natanaele (“Da Nazaret può forse venire qualcosa di buono?”), Filippo non si arrende e controbatte con decisione: “Vieni e vedi!”. In questa risposta, asciutta ma chiara, Filippo manifesta le caratteristiche del vero testimone: non si accontenta di proporre l’annuncio, come una teoria, ma interpella direttamente l’interlocutore suggerendo di fare esperienza diretta di quanto annunciato, di coinvolgersi personalmente, in sostanza di conoscere Gesù da vicino.

Nel brano evangelico del lago di Tiberiade, dove avverrà il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, troviamo il Figlio di Dio che chiede a Filippo dove avrebbero trovato il cibo necessario a sfamare tutta la gente che era intervenuta. Ciò rivela, tra l’altro, come l’apostolo appartiene al gruppo ristretto attorno al Maestro che si rivolge proprio a lui per avere una prima indicazione su come risolvere il problema. “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno di loro possa riceverne anche solo un pezzo”, è la risposta quasi stizzita di Filippo.

In un altro passo si pone da intermediario tra alcuni Greci che si trovano a Gerusalemme (“Signore, vogliamo vedere Gesù”) – probabilmente parla il greco e fa da interprete – e il Salvatore. In quest’occasione per dare seguito alla richiesta manifestato dagli ellenici si reca da Andrea e poi, insieme con lui, da Gesù. Possiamo così scorgere quanto Filippo sia ben consapevole che non è lui ma il Signore il destinatario ultimo delle preghiere di chi si avvicina ed è nella necessità. In tal senso il cristiano è uno strumento indispensabile per indicare e guidare i fratelli lungo la strada verso Dio. Un ulteriore brano denota la presenza dell’apostolo durante l’Ultima Cena, quando chiede a Cristo di mostrare loro il Padre dei cieli, e le parole di accorato rimprovero rivoltegli da Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?”. Gesù si aspetta una conoscenza penetrante e piena di amore da colui che, essendo apostolo, vive in un rapporto molto stretto con il Maestro. Con lo sguardo di fede, il discepolo è chiamato a scoprire nel volto di Gesù quello invisibile del Padre. Dopo la Pentecoste, è probabile che Filippo attraversi l’Asia Minore per evangelizzare i popoli degli Sciti e dei Parti, dai quali ottiene molte conversioni. Giunto alla fine in Frigia, a Gerapoli, viene inchiodato a testa in giù su una croce a X sulla quale muore da martire.

Giacomo, invece, da San Paolo viene chiamato “fratello” di Gesù, epiteto che designa i parenti più prossimi della famiglia. Secondo alcune fonti, infatti, Giacomo è il cugino di Cristo, figlio di Alfeo che è fratello di San Giuseppe. Anche Giacomo ha un fratello, anche lui discepolo di Gesù: San Giuda Taddeo. Detto il Minore per distinguerlo da Giacomo il Maggiore, a questi succede ed è considerato il principale punto di riferimento dei giudeo-cristiani della Chiesa di Gerusalemme, dove nel 50 presiede un importante Concilio. In tale assemblea si parla di questioni assai importanti per l’epoca e si decide che i cristiani di origine pagana possono essere accolti nella Chiesa senza dover sottostare a tutte le norme della legge di Mosè, come ad esempio sottoporsi alla circoncisione.

Prima di questi fatti lo ritroviamo accanto a Cristo che gli appare dopo la Resurrezione. Giacomo segue sempre una condotta esemplare: non mangia carne, non beve vino e osserva i voti, perciò non stupisce che sia soprannominato “il Giusto”. Autore delle prime Lettere “cattoliche” del Nuovo Testamento, si ricorda in particolare quella in cui osserva che “la fede è morta senza le opere”. L’apostolo – uomo molto concreto e pratico – insiste molto sulla necessità di non ridurre il proprio credo a una pura dichiarazione verbale o astratta, ma di esprimerlo concretamente in opere di bene. Tra l’altro, nei suoi scritti, invita alla costanza nelle prove gioiosamente accettate e alla preghiera fiduciosa per ottenere da Dio il dono della sapienza, grazie alla quale si comprende che i veri valori della vita non stanno nelle ricchezze transitorie, ma piuttosto nel saper condividere le proprie sostanze con i poveri e i bisognosi.

San Giacomo esorta i credenti ad abbandonarsi alle mani di Dio in ogni situazione, pronunciando sempre le parole: “Se il Signore vorrà”. Morendo da martire, probabilmente per lapidazione tra il 62 e il 66, resta un maestro di vita sempre attuale per ogni cristiano. Allo stesso modo, Filippo è un mirabile esempio che dimostra quanto sia fondamentale quell’incontro con Gesù che si fa cibo e bevanda per la fame e sete di vita di tutta l’umanità.