Oggi è San Giovanni Paolo II, il Papa della speranza

Oggi in tutto il mondo la Chiesa festeggia San Giovanni Paolo II, il Papa che, come gli ha riconosciuto l’ultimo leader sovietico Mikhail Gorbaciov, ha cambiato la storia del XX secolo. Per ricordare il Pontefice polacco, canonizzato da Francesco il 27 aprile 2014, la Chiesa ha scelto il giorno in cui iniziò il pontificato, il 22 ottobre 1978, quando fece risuonare il suo invito a tutti gli uomini di far entrare Gesù nella vita quotidiana di ciascuno: “Non abbiate paura: aprire, anzi spalancate le porte a Cristo!” Karol Wojtyla, uno degli ultimi vescovi nominati da Pio XII, ha vissuto in prima persona il Vaticano II. “Giovanni Paolo II “suona” lo spartito che ha scritto Paolo VI, osserva lo storico della Chiesa Andrea Riccardi. “È l’icona di una fede dall’identità forte, che intraprende nuove strade e che percorre tutte le strade nella piena attuazione del Concilio – osserva il vaticanista Andrea Tornielli nell’introduzione del libro “Il Concilio di Papa Francesco” -. Paladino della libertà religiosa nel mondo, continua e approfondisce il cammino ecumenico dei predecessori arrivando a dirsi disposto a rivedere le forme di esercizio del primato petrino, appello rimasto ancora oggi senza risposta”.

Le radici della santità

“Karol Wojtyla aveva avuto una formazione cristiana molto particolare. Sua madre aveva fatto in tempo a insegnargli a farsi il segno della croce, a pregare – spiega il decano dei vaticanisti Gianfranco Svidercoschi, ex vicedirettore dell’Osservatore Romano, inviato dell’Ansa al Concilio, amico e collaboratore di  Giovanni Paolo II -. Ma poi erano stati due uomini, due laici, a forgiarlo nella fede: il padre, naturalmente, e un personaggio straordinario, conosciuto per caso, Jan Tyranowski, sarto e catechista. Passavano gli anni e, attraverso molteplici esperienze, cementata in mezzo alle sofferenze e alle tragedie della Polonia, era maturata via via la vocazione sacerdotale, ma anch’essa in un modo che non era quello consueto, ordinario. Il regime comunista aveva chiuso i seminari e imposto ai vescovi di non accogliere più candidati. Così che Karol aveva cominciato a frequentare di nascosto i corsi di teologia”. Il futuro Pontefice continuava a lavorare alla cava, aiutava l’operaio che faceva saltare le mine, e poi a casa studiava da solo. “E, sempre sostanzialmente da solo, aveva portato a termine il suo percorso spirituale, nell’avvicinamento all’Assoluto – sottolinea Svidercoschi -. E anche dopo, negli anni successivi, il suo essere ministro di Dio, da sacerdote e da vescovo, aveva sempre avuto connotazioni singolari, speciali. Un andare avanti con dentro la forza della fede, senza paure, spesso controcorrente. Come quando c’era stato l’incontro con i giovani”.

L’incontro con la gioventù

I giovani avevano subito percepito che quel prete non era come tanti altri; parlava di Dio, della religione, della Chiesa, ma anche dei loro problemi esistenziali: l’amore, il lavoro, il matrimonio. “E Karol, a sua volta, aveva scoperto il valore profondo della giovinezza: che è un periodo di costruzione, di progettazione, ma anche di ricerca di risposte autentiche agli interrogativi sulla vita – sottolinea Svidercoschi -. Per cui, volendo mantenere costanti i fili di quel dialogo, e non lasciare i giovani in balia delle false lusinghe marxiste, si portava ragazzi e ragazze in campeggio. L’apostolato dell’escursione, lo aveva chiamato”. Più avanti, da vescovo, aveva frequentato la grande “fucina” del Concilio Vaticano II. “Aveva ascoltato – rievoca Svidercoschi -. Aveva collaborato, con 26 teologi famosi, alla redazione di alcuni testi. Era anche intervenuto, sui rapporti tra Chiesa e mondo (la Chiesa non intendeva imporre la verità, bensì contribuire, assieme agli uomini, alla costruzione del mondo) e sull’ateismo (doveva essere considerato non tanto come negazione di Dio quanto come condizione interiore della persona umana)”.

La lezione del Concilio

Dal Concilio, Wojtyla aveva imparato a ripensare la Chiesa in una dimensione più spirituale, più comunitaria, più carismatica, più collegiale, insomma, più popolo di Dio e meno gerarchia. Racconta Svidercoschi: “In più (secondo l’esperienza polacca, caratterizzata da una tradizionale saldatura tra valori religiosi, morali e civili)  una Chiesa presente nella società come forza sociale, ma senza tentazioni integralistiche; una Chiesa meno clericale, e invece più aperta alla gente, in particolar modo ai giovani, e promotrice di una rinnovata religiosità popolare”. Ed ecco che, quell’intreccio di profezia, di storia e di nuovi cammini da intraprendere, arrivava fin sulla cattedra di Pietro. Una “diversità” , secondo Svidercoschi, che oggi (nel 2019, e con un Papa come Francesco) forse colpirà poco, sembrerà meno suggestiva; ma che allora, sul finire del secolo scorso, era rivoluzionaria.

Una fede esemplare

“Un Papa che parlava delle tragedie dell’umanità per esperienza diretta, e che demoliva le false “verità” imposte dalle ideologie, dalle politiche, dalle culture, e che guardando da un altro “osservatorio” indicava la via per come vivere radicalmente il Vangelo e per come essere una vera Chiesa al servizio degli uomini, ebbene un Papa così, un Papa giovane, cinquantotto anni, uomo di grande fede, di grande preghiera e anche di grande severità morale, poteva non mettere in crisi molte coscienze? – si chiede Svidercoschi -. E poteva non mettere paura a molti centri di potere? Il primo “strappo” Il cardinale protodiacono aveva terminato l’annuncio, ed ecco finalmente il nuovo Papa affacciarsi dal balcone della basilica di San Pietro”. Molti non lo avevano mai visto, scoprirono per la prima volta quel volto. “Sereno. Solare. Che non riusciva comunque a nascondere il subbuglio interiore – evidenzia l’ex direttore dell’Osservatore Romano -. Era emozionato, ma, forse, anche commosso. E poi, che strano! Quel guardare giù la folla in piazza in un modo curioso e, insieme, interrogativo. Sulla destra, nel grande palazzo vaticano che spunta da dietro il colonnato berniniano, si vedevano diverse persone alle finestre”. E, in una di quelle dell’ultimo piano, accanto all’appartamento pontificio, c’erano monsignor Agostino Casaroli, futuro Segretario di Stato, e monsignor Giovanni Battista Re, che verrà nominato Sostituto, il terzo della gerarchia vaticana. “Due ecclesiastici navigati, già inseriti nel governo centrale, ma, anche loro, colti di sorpresa, rimasti stupefatti da quella incredibile elezione – afferma Svidercoschi -. E a un certo punto, come se pensasse ad alta voce, si sentì Casaroli mormorare: “Che coraggio hanno avuto questi cardinali…“. Un commento che più tardi, incontrando il suo segretario particolare, don Stanislao Dziwisz, farà anche Giovanni Paolo II. Però, solo una battuta ironica. Pronunciata oltretutto (ma come gli sarà venuta in mente?) in un romanesco un po’ storpiato: “Li possano…”. Nel senso di: “Ma che cosa hanno fatto i cardinali…”. Lui ci scherzava su. Mentre Casaroli l’aveva detta con un’altra intenzione. “Pensava probabilmente all’impatto che l’elezione di un Papa polacco avrebbe avuto nel mondo comunista”, puntualizza il decano dei vaticanisti.