Il Papa incontra i lavoratori dell’Ilva: “Sfruttare le persone è anticostituzionale”

“Togliere il lavoro alla gente o sfruttarla con lavoro indegno o malpagato o come sia è anticostituzionale. Se non fosse fondata sul lavoro, la Repubblica italiana non sarebbe una democrazia, perché il posto di lavoro lo occupano e lo hanno sempre occupato privilegi, caste, rendite”. Papa Francesco, nella sua prima tappa della visita al capoluogo ligure, lancia un grido contro lo sfruttamento del lavoro, ricordando l’importanza della dignità umana. Lo fa dallo stabilimento dell’Ilva di Genova, dove oltre 3500 operai lo accolgono festanti. Un incontro introdotto dal cardinal Bagnasco, vescovo di Genova, e svoltosi sotto forma colloquio. I lavoratori, infatti, porgono delle domande al Papa, il quale risponde citando anche Einaudi.

Bagnasco: “La situazione del lavoro è grave”

La situazione del lavoro – afferma l’arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco – è seria e grave: continua a colpire i giovani impediti di fare un progetto di vita, e gli adulti che hanno famiglia e impegni da onorare. Il luogo che abbiamo scelto, e che è stato subito messo a disposizione, è emblematico del problema“, aggiunge, ricordando l’impegno pastorale della Chiesa che “ha sempre cercato di contribuire alla salvaguardia del tessuto portuale, industriale, la rete delle piccole e medie imprese, oltre che la preservazione dei centri direzionali esistenti”.

Vicino al porto

Il Pontefice esordisce dicendosi commosso di essere a Genova per la prima volta, e così vicino al porto dove suo padre partì come migrante. “Oggi – dice il Papa rispondendo ad un imprenditore – il lavoro è un rischio. E’ un mondo dove il lavoro non si considera con la dignità che ha e che dà”. “Il mondo del lavoro è una priorità umana. E pertanto, è una priorità cristiana, una priorità nostra – aggiunge -; e anche una priorità del Papa, perché è quel primo comando che Dio ha dato ad Adamo: ‘Va, fa crescere la terra, lavora la terra, dominala’”.

L’amicizia tra Chiesa e lavoro

Il Papa fa notare come ci sia sempre stata “un’amicizia tra la Chiesa e il lavoro, a partire da Gesù lavoratore. Dove c’è un lavoratore, lì c’è l’interesse e lo sguardo d’amore del Signore e della Chiesa”. Passa quindi a elencare le virtù dell’imprenditore: “La creatività, l’amore per la propria impresa, la passione e l’orgoglio per l’opera delle mani e dell’intelligenza sua e dei lavoratori. L’imprenditore è una figura fondamentale di ogni buona economia: non c’è buona economia senza buon imprenditore”, senza la sua “capacità di creare lavoro, creare prodotti'”. Non solo. Il Santo Padre sottolinea l’importanza di riconoscere anche le virtù “dei lavoratori e delle lavoratrici”. “Il loro bisogno”, afferma il Papa, è quello “di fare il lavoro bene perché il lavoro va fatto bene. A volte si pensa che un lavoratore lavori bene solo perché è pagato: questa è una grave disistima dei lavoratori e del lavoro, perché nega la dignità del lavoro che inizia proprio nel lavorare bene per dignità, per onore”.

Il vero imprenditore è un lavoratore

Secondo il Pontefice, “il vero imprenditore” è un leader che “conosce i suoi lavoratori, perché lavora” accanto a loro e con loro. “Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. Se lui non ha questa esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore”. “Condivide le fatiche dei lavoratori e condivide le gioie del lavoro, di risolvere insieme problemi, di creare qualcosa insieme”. Poi aggiunge: “Se e quando deve licenziare qualcuno è sempre una scelta dolorosa e non lo farebbe, se potesse. Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente. No. Chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente, non è un buon imprenditore: è un commerciante. Oggi vende la sua gente, domani … vende la dignità propria. Si soffre sempre, e qualche volta da questa sofferenza nascono nuove idee per evitare il licenziamento. Questo è il buon imprenditore”.

Speculazione, malattia dell’economia

“Una malattia dell’economia – prosegue – è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori. L’imprenditore non va assolutamente confuso con lo speculatore: sono due tipo diversi. L’imprenditore non deve confondersi con lo speculatore: lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù nel Vangelo chiama ‘mercenario’, per contrapporlo al Buon Pastore. Lo speculatore non ama la sua azienda, non ama i lavoratori, ma vede azienda e lavoratori solo come mezzi per fare profitto. Usa, usa azienda e lavoratori per fare profitto. Licenziare, chiudere, spostare l’azienda non gli creano alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, mangia persona e mezzi per i suoi obiettivi di profitto”. Al contrario, quando l’economia è “abitata invece da buoni imprenditori, le imprese sono amiche della gente e anche dei poveri. Quando passa nelle mani degli speculatori, tutto si rovina”. Con lo speculatore, l’economia” diventa “astratta”. Dietro le decisioni dello speculatore non ci sono persone, sottolinea. “Quando l’economia perde contatto con i volti delle persone concrete, essa stessa diventa un’economia senza volto e quindi un’economia spietata. Bisogna temere gli speculatori, non gli imprenditori. No, non temere gli imprenditori perché ce ne sono tanti bravi! No: temere gli speculatori”.

Il lavoro, luogo d’incontro del popolo di Dio

“Ho accolto la proposta di fare questo incontro oggi, in un luogo di lavoro e di lavoratori, perché anche questi sono luoghi nostri, del popolo di Dio. I dialoghi nei luoghi del lavoro non sono meno importanti dei dialoghi che facciamo dentro le parrocchie o nelle solenni sale convegni, perché i luoghi della Chiesa sono i luoghi della vita e quindi anche le piazze e le fabbriche – prosegue il Papa -. Perché qualcuno può dire: ‘Ma questo prete, che cosa viene a dirci? Che vada in parrocchia!’. No: il mondo del lavoro è il mondo del popolo di Dio: siamo tutti Chiesa. Molti degli incontri tra Dio e gli uomini, di cui ci parlano la Bibbia e i Vangeli, sono avvenuti mentre le persone lavoravano: Mosé sente la voce di Dio che lo chiama e gli si rivela il suo nome mentre pascolava il gregge del suocero; i primi discepoli di Gesù erano pescatori e vengono chiamati da Lui mentre lavoravano in riva al lago”. Il Pontefice fa notare che “la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre visto il lavoro umano come partecipazione alla creazione che continua ogni giorno, anche grazie alle mani, alla mente e al cuore dei lavoratori”. “Sulla terra ci sono poche gioie più grandi di quelle che si sperimentano lavorando, come ci sono pochi dolori più grandi dei dolori del lavoro, quando il lavoro sfrutta, schiaccia, umilia, uccide”, aggiunge. Quindi ricorda che uomini e donne “si nutrono del lavoro: con il lavoro sono unti da dignità. Per questa ragione, attorno al lavoro si edifica l’intero Patto sociale“. E quando non si lavora, si lavora male o si lavora troppo, “è la democrazia che entra in crisi, è tutto il Patto sociale! E’ anche questo il senso dell’articolo 1 della Costituzione italiana, che è molto bello: ‘L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro’”.

Togliere il lavoro è anticostituzionale

Possiamo dire che togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato o come sia è anticostituzionale“. Se non fosse fondata sul lavoro, la Repubblica italiana non sarebbe una democrazia, perché il posto di lavoro lo occupano e lo hanno sempre occupato privilegi, caste, rendite – prosegue Bergoglio -. Bisogna allora guardare senza paura, ma con responsabilità, alle trasformazioni tecnologiche dell’economia e della vita e non rassegnarsi all’ideologia che sta prendendo piede ovunque, che immagina un mondo dove solo metà o forse due terzi dei lavoratori lavoreranno, e gli altri saranno mantenuti da un assegno sociale”.

Non reddito ma lavoro per tutti

L’obiettivo della classe politica, allora, dev’essere quello non del “reddito per tutti“, ma del “lavoro per tutti“. “Perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti”. Ci vuole il lavoro per i giovani, aggiunge: “Voi sapete la percentuale di giovani dai 25 anni in giù, disoccupati, che ci sono in Italia? Io non lo dirò: cercate le statistiche. E questo è un’ipoteca sul futuro. Perché questi giovani crescono senza dignità, perché non sono unti dal lavoro che è quello che dà la dignità. Ma il nocciolo della domanda è questo: un assegno statale, mensile che ti faccia portare avanti una famiglia non risolve il problema. Il problema va risolto con il lavoro per tutti”.

Il cambiamento dei valori del lavoro

Rispondendo ad un lavoratore, il Papa afferma: “i valori del lavoro stanno cambiando molto velocemente, e molti di questi nuovi lavori della grande impresa e della grande finanza non sono valori in linea con la dimensione umana, e pertanto con l’umanesimo cristiano. L’accento sulla competizione all’interno dell’impresa, oltre ad essere un errore antropologico e cristiano, è anche un errore economico perché dimentica che l’impresa è prima di tutto cooperazione, mutua assistenza, reciprocità“. Secondo Bergoglio, “quando un’impresa crea scientificamente un sistema di incentivi individuali che mettono i lavoratori in competizione fra loro, magari nel breve periodo può ottenere qualche vantaggio, ma finisce presto per minare quel tessuto di fiducia che è l’anima di ogni organizzazione“. E nel momento della crisi “l’azienda si sfilaccia e implode, perché non c’è più nessuna corda che la tiene”. Questo è un “errore”, è “una visione che va cambiata se vogliamo il bene dell’impresa, dei lavoratori e dell’economia”. Un altro valore che Francesco reputa “un disvalore”, è la “meritocrazia”. Una parola che affascina perché usa il termine “merito”. Tuttavia, poichè “la strumentalizza e la usa in modo ideologico, la snatura e perverte. La meritocrazia, al di là della buona fede dei tanti che la invocano, sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza“. Il nuovo capitalismo tramite la meritocrazia dà una veste morale alla diseguaglianza, perché interpreta i talenti delle persone non come un dono: il talento non è un dono secondo questa interpretazione, è un merito, determinando un sistema di vantaggi e svantaggi cumulativi”. Altra conseguenza della “meritocrazia” è il cambiamento della “cultura della povertà“. In altre parole, “il povero è considerato un demeritevole e quindi colpevole. E se la povertà è colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa”. Questa logica, sottolinea il Papa, non è quella “del Vangelo”, o della “vita”.

Per celebrare la festa è necessario celebrare il lavoro

Rispondendo ad una disoccupata, Papa Francesco afferma: “Chi perde il lavoro e non riesce a trovare un altro buon lavoro sente che perde la dignità, come perde la dignità chi è costretto per necessità ad accettare lavori cattivi e sbagliati”. Infatti, non tutti i lavori sono buoni, e il Pontefice ne cita qualcuno, come il  traffico illegale di armi, la pornografia, i giochi d’azzardo ma anche “tutte quelle imprese che non rispettano i diritti dei lavoratori o della natura; come è cattivo di chi è pagato molto perché non abbia orari, limiti, confini tra lavoro e vita perché il lavoro diventi tutta la vita”. Il paradosso della nostra società, fa notare, è la “co-presenza di una crescente quota di persone che vorrebbero lavorare e non riescono, e altri che lavorano troppo, che vorrebbero lavorare di meno ma non ci riescono perché sono stati comprati dalle imprese”. Al contrario, il lavoro “diventa fratello” solo “quando accanto ad esso c’è il tempo della festa”. Gli schiavi non hanno tempo libero, afferma Bergoglio. “Senza il tempo della festa, il lavoro torna schiavistico, anche se super pagato“. Per poter fare festa dobbiamo lavorare. “Nelle famiglie dove ci sono disoccupati, non è mai veramente domenica e le feste diventano a volte giorni di tristezza perché manca il lavoro del lunedì. Per celebrare la festa, è necessario poter celebrare il lavoro. L’uno scandisce il tempo e il ritmo dell’altra. Vanno insieme”.

Consumo idolo del nostro tempo

Francesco sostiene anche che “il consumo è un idolo del nostro tempo“, “il centro della nostra società”. Grandi negozi, aperti 24 ore ogni giorno “nuovi templi che promettono la salvezza, la vita eterna; culti di puro consumo e di puro piacere. E’ anche questa la radice della crisi del lavoro nella nostra società: il lavoro è fatica, sudore”. Al contrario, “una società edonista, che vede e vuole solo il consumo, non capisce il valore della fatica e del sudore e quindi non capisce il lavoro”. Tutte le idolatrie, sottolinea il Pontefice, “sono esperienze di puro consumo: gli idoli non lavorano”. Francesco paragona il lavoro al parto: “sono doglie per poter generare poi gioia per quello che si è generato insieme. Senza ritrovare una cultura che stima la fatica e il sudore, non ritroveremo un nuovo rapporto del lavoro e continueremo a sognare il consumo di puro piacere. Il lavoro è il centro di ogni patto sociale: non è un mezzo per poter consumare”.

La dignità del lavoro

“Tra il lavoro e il consumo ci sono tante cose, tutte importanti e belle, che si chiamano dignità, rispetto, onore, libertà, diritti di tutti“, e quindi anche delle donne, dei bambini, degli anziani. Invece, “se svendiamo il lavoro al consumo”, assieme ad esso presto “svenderemo anche tutte queste sue parole sorelle: dignità, rispetto, onore, libertà. Non dobbiamo permetterlo, e dobbiamo continuare a chiedere il lavoro, a generarlo, a stimarlo, ad amarlo“. Non solo, “anche a pregarlo”. Il Pontefice fa notare come “molte delle preghiere più belle dei nostri genitori e nonni erano quelle del lavoro, imparate e recitate prima, dopo e durante il lavoro”. Esso “è presente tutti i giorni nell’Eucaristia”, i cui doni sono “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”. “Un mondo che non conosce più i valori e il valore del lavoro, non capisce più neanche l’Eucaristia, la preghiera vera e umile delle lavoratrici e dei lavoratori”. “I campi, il mare, le fabbriche sono sempre stati altari dai quali si sono alzate preghiere belle e pure, che Dio ha colto e raccolto. Preghiere dette e recitate da chi sapeva e voleva pregare ma anche preghiere dette con le mani, con il sudore – aggiunge -, con la fatica del lavoro da chi non sapeva pregare con la bocca: Dio ha colto anche queste e continua ad accoglierle anche oggi“. Il Papa termina con una preghiera tanto antica quanto bella, il “Vieni, Santo Spirito”, che “è anche una preghiera del lavoro e per il lavoro”. Infine, prima di impartire la benedizione, dice: “E adesso, chiedo al Signore che benedica tutti voi, benedica tutti i lavoratori, gli imprenditori, i disoccupati. Ognuno di noi pensi agli imprenditori che fanno di tutto per dare lavoro; pensi ai disoccupati, pensi ai lavoratori e alle lavoratrici. E scenda questa benedizione su tutti noi e su di loro”.