Il Papa: “Guardiamo la vita come la guarda Dio”

Pasqua è la festa della rimozione delle pietre. Dio rimuove le pietre più dure, contro cui vanno a schiantarsi speranze e aspettative: la morte, il peccato, la paura, la mondanità”. Dopo quella offerta nel corso della Via Crucis del Venerdì Santo, Papa Francesco propone un'altra profonda riflessione durante l'omelia della Veglia pasquale nella Basilica di San Pietro, alla presenza di migliaia di pellegrini, ai quali ricorda che il cammino delle donne che si recano al sepolcro è anche il nostro: “In esso sembra che tutto vada a infrangersi contro una pietra: la bellezza della creazione contro il dramma del peccato”. Quest'oggi, però, scopriamo che il nostro cammino “non è vano, che non sbatte davanti a una pietra tombale” e che fa risuonare quella domanda semplice e rivelatrice allo stesso tempo: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”.

Le due pietre

Ed è attorno a questo interrogativo che ruota il mistero della Pasqua di Resurrezione: “La storia umana non finisce davanti a una pietra sepolcrale, perché scopre oggi la 'pietra viva': Gesù risorto”. Come Chiesa, ha spiegato il Santo Padre, “siamo fondati su di Lui e, anche quando ci perdiamo d’animo, quando siamo tentati di giudicare tutto sulla base dei nostri insuccessi, Egli viene a fare nuove le cose, a ribaltare le nostre delusioni”. Per questo è necessario chiedersi, innanzitutto, quale pietra siamo chiamati a rimuovere: “Pietra su pietra costruiamo dentro di noi un monumento all’insoddisfazione, il sepolcro della speranza. Lamentandoci della vita, rendiamo la vita dipendente dalle lamentele e spiritualmente malata. Si insinua così una specie di psicologia del sepolcro”. Ma il Signore “non abita nella rassegnazione”, è risorto. La seconda pietra, quella del peccato, “seduce, promette cose facili e pronte, benessere e successo, ma poi lascia dentro solitudine e morte. Il peccato è cercare la vita tra i morti, il senso della vita nelle cose che passano”.

Rialzarci

Nel momento in cui osservano la pietra rimossa dal sepolcro, le donne hanno timore, non hanno il coraggio di alzare lo sguardo: “Quante volte capita anche a noi: preferiamo rimanere accovacciati nei nostri limiti, rintanarci nelle nostre paure. È strano: perché lo facciamo? Spesso perché nella chiusura e nella tristezza siamo noi i protagonisti, perché è più facile rimanere soli nelle stanze buie del cuore che aprirci al Signore”. Una visione che ci impedisce di capire che è solo lui a rialzare. Come scriveva Emily Dickinson, “Non conosciamo mai la nostra altezza, finché non siamo chiamati ad alzarci”. A questo il Signore ci chiama, “a risorgere sulla sua Parola”. Dio, infatti, “ci chiede di guardare la vita come la guarda Lui, che vede sempre in ciascuno di noi un nucleo insopprimibile di bellezza”. Egli nel peccato “vede figli da rialzare; nella morte, fratelli da risuscitare; nella desolazione, cuori da consolare”. Per questo non dobbiamo rimanere “per terra impauriti, guardiamo a Gesù risorto: il suo sguardo ci infonde speranza, perché ci dice che siamo sempre amati e che nonostante tutto quello che possiamo combinare il suo amore non cambia”.

“Con lui risorgeremo”

Davanti a quel sepolcro, “quelle donne avevano dimenticato la speranza perché non ricordavano le parole di Gesù”. Ma la fede ha bisogno di ravvivare il primo amore con Gesù, “di ri-cordarlo, cioè, letteralmente, di ritornare col cuore a Lui… Altrimenti si ha una fede da museo, non la fede pasquale. Ma Gesù non è un personaggio del passato, è una persona vivente oggi; non si conosce sui libri di storia, s’incontra nella vita”. Pasqua, ha concluso il Santo Padre, “ci insegna che il credente si ferma poco al cimitero, perché è chiamato a camminare incontro al Vivente… Ed è sempre un cercare il Vivente tra i morti… Diamo al Vivente il posto centrale nella vita… Cerchiamo Lui, in tutto e prima di tutto. Con Lui risorgeremo”.