Se prima era solo nell’aria, ora il cambiamento è certo. L’Iran, dopo otto anni a guida Hassan Rouhani, sceglie il suo nuovo presidente, affidando le chiavi della Repubblica islamica all’ultraconservatore Ebrahim Raisi. Era il favorito della vigilia e conferma i buoni presupposti incassando un consenso del 62%, più che sufficiente a raccogliere il testimone del moderato predecessore. Gli osservatori non avevano dubbi: il favorito per la presidenza era proprio Raisi, membro dell’Associazione dei Chierici militanti e della Società dei Chierici militanti, dal passato nebuloso ma comunque depositario della fiducia degli iraniani. Sarà lui a tenere le redini del Paese, sotto la guida dell’ayatollah Ali Khamenei.
Il Ministero dell’Interno di Teheran ha annunciato il risultato in forma ufficiale mentre lo scrutinio era ancora in corso. Il primo a congratularsi è stato il principale sfidante, Abdolnasser Hemmati, ex governatore della banca centrale e khomeinista. “Mi congratulo per la sua elezioni a 13esimo presidente della Repubblica islamica dell’Iran; spero che il suo governo, sotto la leadership della Guida Suprema ayatollah Ali Khamenei, porterà conforto e prosperità alla nazione. Spero anche che la sua amministrazione sia motivo di orgoglio per la Repubblica islamica e migliori l’economia e la vita della grande nazione dell’Iran”. Le congratulazioni, velate, arrivano anche da Rouhani, che preferisce non fare il nome del vincitore nel momento in cui i risultati non erano ancora ufficiali.
Un risultato fortemente considerato dagli osservatori politici, specie dopo che il Consiglio dei Guardiani aveva depennato dalla short-list dei candidati alcuni dei riformisti più vicini alla corrente moderata. In particolare, aveva fatto notizia l’esclusione di Eshag Jahangiri, numero due di Rouhani e considerato l’aprifila dell’area più moderata del Paese. La scelta di Raisi porta l’Iran su una strada decisamente sbilanciata verso destra, con una probabile ripercussione sul dialogo con i Paesi dell’Occidente, già compromesso dalle tensioni che avevano accompagnato i quattro anni di relazione fra Usa e Teheran sotto la presidenza Trump. Specie a seguito della morte del generale Soleimani a Baghdad.
Probabilmente uno dei fattori che hanno fatto perdere quota ai moderati, a favore di schieramenti politici più vicini alla corrente conservatrice. Raisi appartiene all’ala più estremista di quest’ultima. In passato, come sostenne l’attivista Hussein-Ali Montazeri, fece parte delle “commissioni della morte”, che si resero responsabili di migliaia di esecuzioni sul finire della guerra fra Iran e Iraq.
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