CAMPANIA, L’APOCALISSE DEL LAVORO

“Ho rotto il mio salvadanaio, i soldini che ho conservato voglio darli a voi così tornate a sorridere e giocare con me”. C’erano tremila lavoratori con gli occhi inumiditi dalle lacrime mentre Francesco, 8 anni, figlio di una giovane coppia di dipendenti ex Indesit, leggeva la sua letterina. L’occasione è stata il Primo Maggio, in un giorno dove a Carinaro, in Campania, non c’era nulla da festeggiare; uno schiaffo all’ipocrisia generale e agli annunci edulcorati di politici ed economisti. “Da qualche giorno – scrive il piccolo – vi vedo tristi, parlate a bassa voce. Vi ho chiesto il perché e mamma mi ha abbracciato forte. Vi ho chiesto perché oggi non è anche la vostra festa? Poi finalmente mi avete detto che c’è qualcuno che non vi vuole più far lavorare. Perché, avete fatto i monelli? Vi ho chiesto. Ma papà è andato sul balcone. Voi siete i nostri eroi – continua Francesco – e gli eroi come nei cartoni vincono sempre: dovete vincere per me e per mia sorella Sara che ha due anni”.

Non dovrebbe servire essere supereroi per poter sorridere con i propri figli, ma in questi tempi di crisi tutto diventa più difficile. Persino sedersi a tavola con la famiglia. E la situazione della Indesit-Whirpool, che la lettera di Francesco ha drammaticamente riportato all’interno delle mura domestiche, facendo toccare con mano cosa significhino quelle parole astratte tipo “piano industriale”, “esuberi”, “ricollocazioni” condite con numeri di persone che perdono il lavoro e pronunciate spesso come se dietro non ci fossero storie, sofferenze, drammi.

“Nella nostra regione – spiega Lina Lucci, segretario generale Cisl Campania – la situazione è drammatica: negli ultimi anni abbiamo perso 12 miliardi di euro di Pil, immaginare di recuperali senza avere in mente scelte precise è complicato. La crisi campana è anche legata al fatto che la precedente giunta regionale di centrosinistra aveva sforato il patto di stabilità. Dunque ci si è trovati con circa 15 miliardi di debiti, sottoposti a piano di rientro per la sanità, Irap e Irpef al massimo della tassazione locale, un settore trasporti indebitato per circa 600 milioni di euro. Abbiamo 30.000 lavoratori sotto ammortizzatori sociali – il che rischia di provocare anche uno scontro sociale -; dal 2014 chiudono in media 93 aziende al giorno. Sono numeri spaventosi, con dietro vicende devastanti…”

Eppure certi ritardi, scelte sbagliate, hanno nomi e cognomi… “Quella che tutti chiamano burocrazia ha responsabilità ben tracciabili; è fatta di dirigenti, assessori, apicali ministeriali. Utilizzano il meccanismo di dilazione dei tempi fino ad arrivare al rendere inutilizzabili per un progetto le risorse disponibili; se non addirittura usare i rinvii come metodo di corruzione. Come mai certi atti autorizzativi che dovrebbero essere evasi in pochi mesi si fermano per anni? E’ gravissimo ciò che si consuma tutti i giorni nel Paese, e soprattutto nelle regioni del Sud”.

Un esempio di risorse perse è quello della portualità e della logistica (3 porti nazionali, 3 regionali e 3 interporti). Quel progetto non piaceva ai petrolieri, e guarda caso sono sfumati i 240 milioni di euro che l’Europa aveva assegnato (dopo vent’anni) per colpa della “burocrazia”.

Così facendo – prosegue Lina Lucci – si fa implodere l’intero sistema, e ciò che sta accadendo alla Whirpool è l’estrema conseguenza di tutto. La crescita occupazionale, così come la crescita economica, non sono variabili astratte: dipendono da quali condizioni si mettono in campo per costruire quella crescita. Se il governo nazionale pensa di poter costruire posti di lavoro solo attraverso il jobs act, l’Italia va a sbattere, c’è poco da fare.

Non ci si occupa del Paese, non si parla della competitività, non si sceglie su cosa investire. Se non si decide quali sono i settori strategici sui quali ci dobbiamo concentrare, le Regioni continueranno a spendere risorse europeo immaginando una programmazione propria che spesso rischia di restare una cattedrale nel deserto, senza trasformarsi in una filiera interregionale. E le aziende cadranno come birilli”.

L’incidenza della criminalità? “Arriva dopo. E’ un alibi per non risolvere i problemi. A monte dei problemi troviamo una classe politico-istituzionale che tiene per mano un pezzo forte dell’impresa che non è sana, e anche una parte del sindacato; hanno creato un sistema per il quale tutto ciò che viene messo in piedi in termini di sviluppo risponde solo 04alle logiche di questa lobby. Che ha agganci tra gli amministratori locali, in Regione, al Ministero, tra i sindacati. Ma non sono camorra, sono predatori”.