Pd e centrodestra divisi, Di Maio detta le condizioni

Il quadro è questo: da una parte una coalizione (il centrodestra) che nel complesso ha il maggior numero di seggi in Parlamento, dall'altro un partito (M5s) che da solo è riuscito a conquistare il 32% delle preferenze. Nel mezzo il grande sconfitto, il Pd, che deve decidere se assecondare le volontà del suo segretario dimissionario (“andremo all'opposizione, niente inciuci”) o provare a dialogare per cercare di entrare nella maggioranza ventura.

Tentazioni e scontri

Dopo l'endorsement di un vecchio guru della sinistra come Eugenio Scalfari (“Di Maio meglio di Salvini, è un grande leader”) e le parziali aperture di Sergio Marchionne (“M5s? Ho visto di peggio”) e Marco Boccia (“I grillini non fanno paura”) è facile immaginare chi sarà l'interlocutore con cui una parte del panorama dem proverà ad allacciare rapporti per vedere se ci sono le possibilità di governare insieme. Il problema è sempre lui: Matteo Renzi. Il suo “no” tranchant agli “inciuci” è suonato come un avvertimento a quanti poco dopo il voto si erano mostrati possibilisti su un accordo con il nemico di ieri. Ma Renzi, che ha scelto la strada dello scontro totale nel commentare il dopo elezioni non risparmiando stoccate indirette a Paolo Gentiloni e allo stesso Sergio Mattarella, sembra sempre più isolato e rischia di dover anticipare le dimissioni. A dargli, in parte, manforte – almeno sul fronte di una possibile alleanza con i grillini – è stato Carlo Calenda, che giusto ieri ha annunciato l'iscrizione al Pd. “Se lo fanno – ha avvertito su Twitter – il mio tesseramento sarà il più breve della storia”. Per il ministro dello Sviluppo economico “si può ripartire solo se lo si fa insieme. Ultima cosa di cui abbiamo bisogno è arrocco da un lato e desiderio di resa dei conti dall'altro. Ridefinire il nostro messaggio al Paese, riaprire iscrizioni e tenersi lontano da M5S. Leader c'è e fa il Pdc (il presidente del Consiglio, Gentiloni ndr)”. Calenda ha escluso a priori una sua candidatura alla segreteria. “Presa di coscienza sul futuro del Pd non resa dei conti su passato – ha scritto sempre su twitter, rispondendo ad un followe -. Ho sempre parlato chiaro con Renzi ma mi rifiuto di partecipare ora alla rimozione collettiva di un percorso che ha avuto anche tantissimi elementi positivi. Se cercano anti-Renzi non sono io“. 

In attesa

Il M5s, per ora, segue con attenzione l'evoluzione dei fatti, certo che, come ha sottolineato Di Maio nella festa post elezioni di Pomigliano d'Arco, “sono gli altri a dover parlare con noi”. La condizione è la convergenza sui punti del suo programma, a partire da quelli già annunciati in campagna elettorale. Una rosa di temi che parte dagli aiuti alla famiglia, ai disoccupati e ai pensionati. In grado di poter aprire trattative sia a destra che a sinistra. E sfruttando anche l'assist che nelle scorse ore gli hanno servito gli imprenditori. “Ho sentito tanti apprezzamenti da ambienti a noi non vicini. Li accolgo senza fraintendimenti e polemiche, il M5S è aperto”, ha sottolineato. Poi un avvertimento a Beppe Grillo, che si è fatto portavoce dell'ala oltranzista della base dei militanti: “C'è un capo politico” che decide con chi avviare il dialogo. Anche perché, ha sottolineato, “non siamo né di destra né di sinistra, è questa la nostra forza“.

Sfida interna

Da parte sua il centrodestra, alle prese con il confronto sulla leadership fra Salvini e Berlusconi, rischia di finire in fuorigioco. Il presidente di Fi,  pur dicendosi “felice” per la netta affermazione della Lega, ha tenuto a precisare:”Resto il leader di Forza Italia ed il garante della compattezza della coalizione”. Parole che Berlusconi ha affidato ad un messaggio con cui ha commentato, ultimo in ordine di tempo, i risultati elettorali. Nessun accenno diretto al passaggio di consegne con Salvini. Per non agitare troppo le acque l'ex capo del governo, in linea con quanto detto dai suoi alleati, ha rivendicato per il centrodestra “il mandato per governare” e conferma che al Colle si recheranno tutti insieme per dare le loro indicazioni. Insomma nessuna intenzione di sfilarsi, per ora, dagli accordi, anche se il Cavaliere è perfettamente consapevole della difficoltà di poter formare un governo visto il gap numerico sia alla Camera che al Senato. L'argomento è stato oggetto di un lungo vertice ad Arcore a cui hanno partecipato tutti i big del partito, Antonio Tajani compreso. Il Cavaliere non ha nascosto la delusione per il risultato del suo partito convinto che con una sua presenza in campo da “candidato” la situazione sarebbe totalmente diversa.