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La guerra invisibile dello spionaggio industriale

La supremazia tecnologica è potere e la sua conquista può richiedere sforzi e sacrifici che sono tipici delle manovre belliche. Nessun carrarmato, niente bombe, è vero: la guerra la si combatte anche rubando la proprietà intellettuale, minacciando le imprese, praticando il “bracconaggio” degli specialisti (sottraendo personale chiave alle aziende che fanno ricerca e sviluppo), congegnando blitz incruenti in cui le prede sono le idee e il know-how. Abituati a conflitti tradizionali si dà poco peso a questo genere di minaccia. La cronaca ci aiuta a prendere coscienza delle ostilità che non si limitano ad avere riverberazioni solo industriali o commerciali ma che possono riservare brutte sorprese economiche, sociali, politiche.

Yiren Ronnie Huang, cofondatore e direttore tecnico dell’americana CNEX Labs, ha puntato il dito contro Huawei e la sua controllata Futurewei: l’accusa è di spionaggio industriale e l’allarme riguarda la proprietà intellettuale dei controller SSD di CNEX. La denuncia presentata alla Corte di Giustizia del Texas non si limita a puntuali addebiti su indebite intenzioni di soffiar segreti inerenti le tecnologie di memorizzazione dei dati su memorie allo stato solido (per esemplificare nella fattispecie si fa riferimento a quella tipologia di minuscoli supporti magnetici utilizzati non solo per scopi “professionali” ma anche banalmente per salvare le fotografie scattate con macchine digitali) ma paventa un piano ad ampio spettro: si parla di una vera e propria campagna di spionaggio mirata a sottrarre il predominio tecnologico agli Stati Uniti.

Al reclamo di mister Huang ha immediatamente replicato Huawei sottolineando che il denunciante è un ex dipendente dell’azienda, cui l’impresa cinese qualche anno fa aveva affidato la responsabilità della progettazione delle architetture di sistemi nella propria controllata Futurewei creata a Plano, in Texas, già nel 2001. Secondo il colosso cinese Yiren Huang aveva sviluppato 18 brevetti mentre era ancora impiegato in Huawei e prima di lasciare il suo posto si è dato un gran da fare per reclutare i colleghi più bravi offrendo loro una incentivata “migrazione” nella nascente CNEX.

La vicenda si ingarbuglia e assume i connotati della spy-story dal sapore hi-tech. Il caso Huawei Technologies Co. contro Huang, il numero 17-893, dinanzi alla Corte Distrettuale del Texas orientale, prevede un’ultima udienza preliminare per il 1 maggio 2019, cui farà seguito il classico processo americano con tanto di giuria. Fino ad allora, invece di aspettare il semplice esito giudiziario, vale la pena trovare il tempo per qualche riflessione.

Verrebbe subito da chiedersi cosa stiamo facendo in Italia nel contesto della “ricerca e sviluppo”. Ci si domanderebbe anche quali precauzioni vengano adottate non solo nella sofisticata protezione dei “segreti”, ma anche e soprattutto nelle politiche industriali di gestione del “personale chiave” e di relazione “governativa” con le industrie straniere. Lo scenario ha rilevanza strategica e inerisce il futuro italiano e i prossimi equilibri internazionali in cui sarebbe carino non avere posto soltanto sugli spalti. Nessuno sogna la fascia da capitano sul braccio, ma è evidente che se non si gioca la partita si è costretti a rimanere seduti in tribuna o addirittura sulla poltrona di casa. Un mancato impegno – e la latitanza istituzionale su questo fronte – non daranno possibilità di arrivare nemmeno a trovare un piccolo spazio in panchina.

I problemi di base sono due, l’essere a corto di idee e lasciarsi scappare i talenti a disposizione. E forse di grana ce n’è pure un’altra: il non avere un progetto. Mentre si blatera di “cambiamento” e non se ne trova concretezza se non in parole e promesse della campagna elettorale no-stop, vale la pena fermarsi un attimo e riflettere sul da farsi. Se si vuole, se si vuole davvero, c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Umberto Rapetto

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