La Cassazione apre a Totò Riina: “Ha diritto a morire dignitosamente”

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A nessuno può essere negato il diritto a “morire dignitosamente“. Nemmeno a chi ha fatto della morte il suo mestiere, come Totò Riina, ex “Capo dei capi” del clan dei Corlenesi, responsabile, fra gli altri, degli agguati costati la vita a numerosi esponenti delle istituzioni e delle forze dell’ordine, durante la stagione di sangue avviata da Cosa Nostra sul finire degli anni 70 e terminata nei primi anni 90.

Il provvedimento

Per questo il provvedimento con cui la Corte di Cassazione ha aperto a una forma di detenzione più lieve per il boss mafioso è destinata a far discutere. Come si concilia – è la domanda su cui i giudici di piazza Cavour si sono interrogati – la necessità di assicurare la certezza di una pena severa a chi sia macchiato di reati tanto gravi con il diritto, riconosciuto a ogni essere umano, a concludere i propri giorni in modo dignitoso? Un campo minato su cui la prima sezione penale della Suprema Corte si è addentrata accogliendo il ricorso con cui il difensore dell’ex padrino (ormai anziano e malato) ha chiesto il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare.

La richiesta

L’istanza era stata respinta lo scorso anno dal tribunale di sorveglianza di Bologna, che però, secondo la Cassazione, nel motivare il diniego aveva omesso “di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico“. Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l’infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Ma gli “ermellini” sottolinenano, a tale proposito, che il giudice deve verificare e motivare “se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un’afflizione di tale intensità” da andare oltre la “legittima esecuzione di una pena“.

Anziano e malato

Il collegio ritiene che non emerga dalla decisione del giudice in che modo si è giunti a ritenere compatibile con il senso di umanità della pena “il mantenimento il carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa“, che non riesce a stare seduto ed è esposto “in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili”.

Pericolosità da valutare

La Cassazione ritiene di dover dissentire con l’ordinanza del tribunale, “dovendosi al contrario affermare l’esistenza di un diritto di morire dignitosamente” che deve essere assicurato al detenuto. Inoltre, ferma restando “l’altissima pericolosità” e l'”indiscusso spessore criminale” il tribunale non ha chiarito “come tale pericolosità “possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico”.