Fico: “Sconfiggere la mafia in 10 anni”

Giancarlo Siani è “una vittima di mafia e nella nostra terra, in Campania, a Napoli ma in tutta Italia le vittime di mafia sono tantissime e non potremo mai avere pace finché non ci saremo liberati definitivamente dalle mafie”. L'esortazione di Roberto Fico alla lotta contro i clan arriva da Vico Equense (Na) dove al giornalista ucciso dalla camorra è stata intitolata una piazza. 

La lotta

“Non è possibile – ha detto il presidente della Camera – vivere in città che vengono attraversate da gang con la pistola in pugno che sparano ad altri clan, magari ferendo di notte una donna affacciata al balcone. Per noi deve essere inaccettabile, dobbiamo indignarci ogni giorno e come Stato dobbiamo darci non solo l'obiettivo di cercare di contrastare questa piaga ma di risolverla definitivamente, non è più possibile aspettare”. Per Fico è necessario “sconfiggere questo fenomeno” entro un termine certo. “Nei prossimi 10 anni serve un piano Marshall per le scuole, le periferie, aumentare il livello di istruzione, assistenza sociale, uno Stato deve decidere dove mettere i soldi e i soldi vanno messi nella cultura, in rigenerazione urbana, perché alcuni luoghi in cui noi viviamo non sono accettabili, non sono luoghi in cui si può vivere dignitosamente, allora dobbiamo darci un termine, un piano” e se le cose non funzioneranno “dobbiamo porci le domande sul perché non ha funzionato e riprovarci finché il problema non lo risolviamo”. 

Responsabilità

Non è più possibile, ha concluso, “vivere in una città in cui si ha paura di uscire, di aprire un'impresa. Oggi è responsabilità di tutti scegliere sempre da che parte stare. Da presidente della Camera voglio dare un contributo per mettere fine alle mafie, perché un mondo diverso è assolutamente possibile ma va fatto insieme e nessuno si può più voltare dall'altra parte perché la responsabilità individuale corrisponde a quella collettiva”.

Il giudice ucciso

In precedenza Fico aveva ricordato il giudice Rosario Livatino trucidato dalla mafia agrigentina il 21 settembre 1990. “Aveva 38 anni ha scritto su Facebook – e nel corso della sua carriera in magistratura, si era occupato proprio di contrasto alla criminalità organizzata e di quella che poi sarebbe stata conosciuta come la 'Tangentopoli siciliana'. Quando la stidda agrigentina decise di assassinarlo era senza scorta e guidava la sua auto”. Livatino, ha sottolineato il presidente della Camera,  “aveva un'enorme tenacia, ma era allo stesso tempo sobrio e riservato. La testimonianza che ci lascia è di forte attaccamento ai principi di giustizia e legalità. Principi su cui la comunità deve poter continuare a trovare un riferimento ideale che possa dare nuova energia a una lotta corale contro il fenomeno mafioso. Perché se è vero che negli ultimi decenni sono stati inferti colpi decisivi alla mafia è altrettanto vero che si è notevolmente ampliata la sua dimensione economica e relazionale, la sua capacità corruttiva ed intimidatoria. Il sacrificio di Livatino serva proprio a ricordare come lo sforzo delle istituzioni debba essere costante, non solo nella risposta investigativa e giudiziaria, ma anche e soprattutto in quella sociale e culturale. Così ricorderemo nel modo migliore possibile il 'giudice ragazzino'”.