E'scoppiato il caos all'interno del governo May, in fase di disgregazione dopo la votazione della bozza di accordo con l'Ue sul tema Brexit. L'addio del ministro Dominic Raab non era stato che il primo di una serie di quattro lettere di dimissioni che, di fatto, stanno smontando l'esecutivo Tory pezzo per pezzo, rendendo a questo punto il voto di sfiducia proposto dall'ala radicale dei conservatori ben più che una possibilità. Il momento è alquanto complicato: nonostante l'ok incassato ieri dal Consiglio dei ministri, Theresa May era apparsa in difficoltà sul fronte interno, con gli brexiteers favorevoli alla linea hard concordi nel definire svantaggioso l'accordo raggiunto dalla premier e, già in quel momento, propensi ad avanzare una mozione per sfiduciare il governo ed esautorare May dalla carica a Downing Street. Nonostante la rinuncia a perseguire tale obiettivo, la sensazione generale parlava di una premier destinata a veder infranto il suo dossier sul muro del Parlamento, dove il governo Tory ha tutt'altro che i numeri per un'approvazione.
Dopo l'addio di Raab e, in successione, della sottosegretaria Suella Braverman e dei ministri di Irlanda del Nord e Lavoro, Shailesh Vara ed Ester McVey, la percezione è cambiata radicalmente: ora May rischia seriamente di cadere dalla sedia ben prima che il testo dell'accordo arrivi in Parlamento, con l'ala radicale dei conservatori a premere per rivedere i termini dell'intesa (giudicata troppo concessionaria a Bruxelles) e i Labour di Jeremy Corbyn a spingere per strappare il dossier e ridare la parola al popolo britannico. Nella giornata di ieri, la premier aveva per l'ennesima volta ribadito che l'esito delle trattative aveva rispettato l'esito del referendum e che non esistevano possibilità che ve ne fosse un altro. Il problema è che il nodo Irlanda del Nord, solo ufficiosamente sciolto dai contenuti della bozza, continua a lasciare l'amaro in bocca a una larga fetta dei conservatori (oltre che ai laburisti) poiché, a detta di molti, legherebbe il territorio britannico sull'isola irlandese all'Ue più che al Regno Unito, circostanza che non ha mancato di sottolineare lo stesso Raab in fase di dimissioni: “Siamo una nazione orgogliosa e ci siamo ridotti a obbedire alle regole fatte da altri Paesi che hanno dimostrato di non avere a cuore i nostri migliori interessi. Possiamo e dobbiamo fare meglio di questo. Il popolo del Regno Unito merita di meglio”.
Ma non solo Raab. L'invito a salutare May rivolto dall'ex ministro Boris Johnson ai brexiteers è stato accolto in pieno anche da Ester McVey, secondo la quale “l'accordo di May non rispetta il risultato del referendum del 2016… Siamo passati da una situazione per cui nessun accordo era meglio di un cattivo accordo a un'altra per cui un cattivo accordo è meglio di nessun accordo con l'Ue. Io non ci sto”. E ora? Il futuro di May sembra appeso a un filo: resta da capire se, con il governo in fase di disgregazione, riuscirà comunque ad arrivare al voto del Parlamento anche se, ora come ora, l'esito di un eventuale voto di Westminster sembrerebbe segnato.
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