Usa, caos politico sul Russiagate

Dal vertice di Helsinki un dato è stato tratto: per entrambi i leader, Trump e Putin, il Russiagate è “una farsa”, “un disastro”, un intralcio ai rapporti cordiali fra i due Paesi. Su questo erano d'accordo entrambi, il presidente americano e quello russo, anche a poco più di due giorni di distanza dall'incriminazione di 12 persone di nazionalità russa, 007 accusati di essersi intromessi nella campagna elettorale del 2016 a danno dei democratici. E, quest'oggi, le autorità federali Usa avrebbero anche arrestato una donna russa, a sua volta accusata di spionaggio e, nello specifico, di lavorare per un rappresentante russo connesso al Cremlino, con lo scopo di infiltrarsi nelle organizzazioni politiche americane. Una coincidenza che, sicuramente, fa pensare: l'accelereata del superprocuratore Mueller con l'incriminazione dei 12 e, ora, addirittura un arresto, rendono il tema Russiagate più vivo che mai e, senza dubbio, ancora piuttosto discusso all'interno dell'establishment americano, considerando le reazioni contrastanti suscitate dalle parole di Donald Trump nella conferenza di Helsinki.

Fiducia negli 007

Particolarmente ficcante il commento di Paul Ryan, lo speaker della Camera: “Non c'è dubbio che la Russia abbia interferito nelle nostre elezioni. Il presidente deve riconoscere che la Russia non è un nostro alleato. Non c'è equivalenza morale fra la Russia e gli Usa” perché, secondo Ryan, Mosca va “posta davanti alle sue responsabilità e deve mettere fine ai suoi vili attacchi alla democrazia”. Trump non è proprio in disaccordo, in quanto nel suo primo tweet post-Helsinki ha affermato di avere fiducia negli 007 americani ma anche che con la Russia è necessario andare d'accordo: “Come ho detto oggi e molte volte prima, ho grande fiducia nelle mie persone dell'intelligence. Riconosco tuttavia che per costruire un futuro più luminoso non ci si può focalizzare esclusivamente sul passato… Come le due maggiori potenze nucleari al mondo, dobbiamo andare d'accordo”.

Remore nel Gop

Una risposta, quella di Trump, arrivata dopo le parole del leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, il quale ha affermato dopo il vertice che “i russi non sono nostri amici e credo interamente alla valutazione della nostra comunità di intelligence”. Un modo per ribadire che l'intesa ci può anche essere ma che è bene ricordarsi che con Mosca c'è innanzitutto una rivalità e, in buona sostanza, questo è stato confermato da molti senatori del Gop per i corridoio del Campidoglio, come riportato da diversi media statunitensi. Il punto è che, come spesso accade, le dichiarazioni di Trump hanno diviso il mondo politico americano e, anche questo accade spesso, gli stessi Repubblicani. Tra questi Richard Burr, che tira fuori la vicenda dei cyberattacchi: “Il presidente Putin ha ordinato una campagna di influenza finalizzata alle elezioni americane del 2016 con l'obiettivo di minare la fede nel nostro processo democratico.La Russia ha condotto un attacco informatico coordinato sui sistemi elettorali statali e ha hackerato le infrastrutture critiche, usando i social media per seminare il caos”. Come a dire che, nonostante i buoni propositi, del Russiagate si continuerà a parlare.