Niente incriminazione per il poliziotto che uccise un nero a Ferguson. Esplode la rabbia

Il Grand Jury ha deciso: il poliziotto bianco che uccise il 18enne di colore Michael Brown a Ferguson l’8 agosto scorso non sarà incriminato. Bob McCulloch, il pubblico ministero di contea, ha riferito il verdetto alle 20,16 (ora del Missouri) in un lungo discorso in cui, in maniera puntigliosa e polemica, ha voluto sottolineare come la propria indagine si sia svolta “senza preconcetti” e come, in situazioni analoghe a questa, il “ciclo mediatico 24 ore su 24, più i social media” siano dannosi. Poi una parola su tutte le “testimonianze false o contraddittorie”, come quella sul fatto che “Brown sarebbe stato colpito di schiena mentre fuggiva”. La conclusione del Pm, dunque è che non c’è “nessuna ragione per incriminare il poliziotto”.

“Accettiamo la decisione del Grand Jury – ha poi dichiarato Barack Obama in una nota dalla Casa Bianca – siamo una nazione fondata sul rispetto della legge. Mi unisco ai genitori di Michael Brown che esortano chiunque protesti a farlo pacificamente; suo padre ha lanciato un appello con queste parole: fare del male agli altri non è una risposta; la morte di Michael deve rendere la nostra comunità migliore”.
Ma il signor Ferguson lancia un appello alla polizia: “Che dimostri moderazione, lavori con la comunità locale, non contro; che sappia distinguere i pochi violenti dai tanti che vogliono far ascoltare la propria voce”. Il presidente, in riferimento a ciò, ha poi affermato che “la sfida più grande è la profonda diffidenza tra la polizia e le comunità di colore, eredità della discriminazione razziale”.

Nel suo intervento McCulloch ha insistito sul fatto che “solo i 12 giurati hanno visto tutte le prove, tutte le foto, tutte le perizie mediche”. Il loro dovere, secondo il Pm, è quello di “separare la realtà dalla finzione” e il nostro quello di ricordare, conoscere: poco prima della sua uccisione, ha sottolineato, Michael Brown era stato filmato da una videocamera di sicurezza mentre rubava dei sigari da un tabaccaio, furto che fu segnalato e diede l’allarme alla pattuglia di polizia; “i controlli incrociati sui testimoni oculari, dopo attente verifiche con le perizie – ha aggiunto – confermano che ci fu colluttazione”, come le tracce di sangue del ragazzo nell’auto della polizia; poi le tre autopsie – coerenti nei risultati – a confermare che alcuni dei colpi furono sparati da vicino: questo, secondo il magistrato, smentisce la versione della raffica sparata mentre il ragazzo disarmato stava già fuggendo.
E al momento dell’annuncio, che ha lasciato i familiari di Brown “profondamente delusi”, una folla di manifestanti era già scesa in strada, di fronte ai reparti della polizia con gli scudi alzati e gli elmetti di fronte al volto. E di nuovo lacrimogeni, slogan che reclamano “l’ergastolo per l’agente”. La rabbia è esplosa in tutti gli Usa: migliaia di persone, da Washington a New York e da Los Angeles a Chicago, hanno protestato in cortei spontanei.

Ma il caso Brown non si chiude qui: sono in corso altre indagini, tra cui l’inchiesta federale avviata da Obama e gestita dal suo segretario alla giustizia, l’afroamericano Eric Holder, noto per le sue battaglie sui diritti civili, e quella che in parallelo si avvale dell’aiuto di funzionari dell’Fbi che indaga non solo sull’eventuale colpevolezza del poliziotto Wilson, ma anche la responsabilità del corpo di polizia locale.