Kobane, attacchi aerei e peshemrga premono sull’Isis

La cittadina curda di Kobane, ai confini con la Turchia, si trova sotto la morsa dell’autoproclamato Stato Islamico da ormai due settimane. Il governo di Ankara è completamente inattivo di fronte alla minaccia jihadista e le manifestazioni in difesa dei curdi turchi, in piazza da giorni, hanno raggiunto il bilancio di oltre 30 morti e circa 350 persone arrestate. A difendere i villaggi della località è la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti e i bombardamenti, uniti alla resistenza dei peshmerga, cercano di respingere i miliziani sunniti.

I curdi, organizzati dal Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), dopo aver ufficialmente rimosso la bandiera dell’Isis dalla cittadina sono riusciti a conquistare, combattendo casa per casa per ore, il quartiere di Kani Arabani. Ma la situazione attuale è ancora incerta: secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani l’Isis ha nelle mani ancora la metà della città, mentre i curdi sostengono di averne conquistati i due terzi.
E gli jihadisti continuano ad avanzare anche in Iraq: quasi giunti alle porte di Baghdad, puntano a prendere il controllo dell’aeroporto e la loro presenza sta spingendo i cittadini ad abbandonare la città: nella sola provincia di al-Anbar, al momento, si contano almeno 180mila profughi. Le località di Hit e Kubaisa restano ancora sotto il loro controllo, e si teme per Hadit e Falluja, dove ad opporsi all’Isis, accanto all’esercito iracheno, ci sono anche gruppi militanti sunniti.

Il mancato intervento di Ankara di fronte alla minaccia dei propri confini sta offuscando sempre di più la sua immagine di alleato occidentale: il governo turco non solo non fa nulla per aiutare i siriani di Kobane quotidianamente massacrati dalle milizie estremiste, ma ha anche bloccato le armi che i curdi iracheni hanno inviato a Kobane per difendersi dall’assalto dello Stato Islamico.