Bouteflika ha ceduto: si dimetterà

Ha ceduto, infine, il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika. Il leader del Front de Libération nationale, al potere del 1999, ha annunciato che si dimetterà “prima del 28 aprile prossimo”, ponendo fine ai suoi 20 anni ininterrotti alla guida dell'Algeria. Il suo mandato sarebbe comunque scaduto ma, assai più probabilmente, a pesare sulla sua decisione sono state le settimane di intense proteste messe in piazza dalla popolazione, specialmente nella capitale Algeri. Secondo quanto riferito dall'agenzia ufficiale algerina, Aps, il presidente dovrà tuttavia prendere “importanti misure per assicurare la continuità del funzionamento delle istituzioni dello Stato durante il periodo di transizione”.

Lo schieramento dell'esercito

Al momento non è ben chiaro quali provvedimenti intenderà prendere il presidente, negli ultimi giorni scaricato anche dall'esercito algerino, secondo il quale non è più in grado di sostenere il governo del Paese. Bouteflika dal 2013, anno in cui fu colpito da un ictus, vige in condizioni di salute precarie, con difficoltà anche nel parlare e, per questo, negli ultimi anni ha limitato sensibilmente le sue apparizioni pubbliche. I movimenti di protesta, organizzati perlopiù da gruppi giovanili, hanno fatto pressione affinché il presidente 82enne non si ricandidasse per un nuovo mandato. Dopo alcune esitazioni, anche il capo di stato maggiore dell'esercito, Ahmed Gaid Salah, si era schierato per chiedere a Bouteflika di interrompere la sua guida politica del Paese, chiedendo l'applicazione dell'articolo 102 della Costituzione, nel quale si prevede la destituzione del presidente della Repubblica per grave stato di incapacità.

Stop alle precauzioni

Al momento, però, visto l'annuncio arrivato da Bouteflika sembra che l'applicazione del 102 non sarà più così necessario, così come il procedimento volto a nominare Abdelkader Bensalah come presidente ad interim per tre mesi, così da organizzare nuove elezioni. Nella giornata di ieri, peraltro, era stato organizzato un rimpasto-lampo del consiglio dei ministri, cambiandone ben 21 su 27. Una mossa che, a questo punto, appare inutile.