Al Fatah guarda con speranza a Trump: “Da lui può arrivare una spinta per la pace”

Al Fatah guarda con speranza all’amministrazione Trump, da cui, secondo il nuovo segretario generale Jibril Rajoub “può arrivare una spinta importante per la pace”. La telefonata tra il presidente Usa e Abu Mazen, spiega, “è stata molto positiva e l’invito alla Casa Bianca, ancora non definito nella data ma che potrebbe avvenire ai primi di aprile, è un messaggio chiaro che la questione palestinese è viva e vegeta e che il presidente Abu Mazen è visto come un partner valido dalla amministrazione Usa”.

Ma secondo Rajoub – uno dei dirigenti palestinesi che a giudizio di molti potrebbe aspirare a succedere all’attuale presidente Abu Mazen – anche il prossimo vertice arabo di Amman può dare “una spinta a risolvere i nodi del conflitto, in primo luogo la questione dei profughi palestinesi”. Per Rajoub la Soluzione dei due Stati “non può essere aggirata e comporta la fine dell’occupazione israeliana”: sotto questo aspetto dal summit di Amman a suo giudizio verrà la conferma che l’Iniziativa di pace araba è ancora “impegnativa per gli stati della regione”.

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu. ha osservato, “vuole invece rovinare l’atmosfera positiva che si è creata tra Trump e Abu Mazen e vuole persino stabilire un nuovo insediamento per i coloni ebrei sfrattati dall’avamposto illegale di Amona in Cisgiordania”. Per Rajoub invece gli “insediamenti vanno immediatamente congelati e oggi come oggi Netanyahu non è un partner per la formula dei due stati”.

Il segretario generale di Fatah ha poi indicato un altro elemento di ottimismo “la possibilità di raggiungere, anche se permangono alcune difficoltà, l’unità delle forze palestinesi. Hamas infatti ha assunto un atteggiamento pragmatico che prima non aveva anche perché l’Islam politico è fallito nell’intera regione e Hamas non ha saputo creare un modello alternativo a Gaza”.

Fatah, ha aggiunto Rajoub, “segue con interesse gli sviluppi della discussione in corso sui nuovi contenuti della Carta di Hamas da cui potrebbe uscire un indiretto riconoscimento di Israele nel momento in cui l’organizzazione prenda atto, come sembra, dei confini del ’67”. Ma per ottenere la pace resta sicuramente un fattore importante l’atteggiamento di Tel Aviv. “Oltre al congelamento degli insediamenti, che per noi sono un tumore maligno, occorre – ha sottolineato – che siano annullate tutte le restrizioni agli spostamenti dei palestinesi e che si inizi la liberazione dei prigionieri. Quello di cui c’è bisogno è la speranza per edificare il futuro. Occorre impedire che i palestinesi la perdano”.