7 aprile 1906: A New York la prima scuola per immigrati

I figli degli italiani espatriati all'estero hanno diritto alla cultura

Antonio Stango

Fra il 1880 e il 1915 approdano negli Stati Uniti quattro milioni di italiani, su 9 milioni circa di emigranti che scelsero di attraversare l’Oceano verso le Americhe. Le cifre non tengono conto del gran numero di persone che rientrò in Italia: una quota considerevole (50/60%) nel periodo 1900-1914. Circa il settanta per cento proveniva dal Meridione, anche se fra il 1876 ed il 1900 la maggior parte degli emigrati era del Nord Italia con il quarantacinque per cento composto solo da Veneto, Friuli Venezia Giulia e Piemonte.
Le motivazioni che spinsero masse di milioni di Meridionali ad emigrare furono molteplici.

Gli Stati Uniti dal 1880 aprirono le porte all’immigrazione nel pieno dell’avvio del loro sviluppo capitalistico; le navi portavano merci in Europa e ritornavano cariche di emigranti. I costi delle navi per l’America erano inferiori a quelli dei treni per il Nord Europa, per questo milioni di persone scelsero di attraversare l’Oceano.

Proprio in quegli anni, il 7 aprile 1906, si inaugurava la prima scuola per i figli degli emigrati italiani a New York. Quanto il ricordo di questo passato influisce e condiziona nel rapporto che gli italiani hanno con gli immigrati?

Oggi bisognerebbe ricordare di più il passato, perché rispolverare le pagine dei vecchi libri di storia aiuterebbe a capire perché certi fenomeni si ripresentano. In più così facendo potremmo imparare a puntare meno il dito verso il prossimo ripensando a quanto è stato fatto dalle generazioni che ci hanno preceduti. Questa è la forza della comunicazione”. Con queste parole Antonio Stango, presidente nazionale di Fidu (federazione italiana diritti umani) commenta per interris.it questo anniversario.

Essere immigrati oggi al tempo del coronavirus che cosa vuol dire?

Essere immigrati al tempo del coronavirus vuol dire vivere un’emergenza nell’emergenza. Le persone non hanno la possibilità di vivere una vita dignitosa, costretti a raccogliere i pomodori nei campi, vivendo in delle strutture adattate alle loro esigenze ma senza alcuna forma di sicurezza –ha sottolineato Stango -. Sono persone dimenticate da uno stato ed un’Europa in questo momento piegati su sé stessi dall’emergenza coronavirus”.

La maggior parte dei migranti oggi provengono da un continente come quello africano, “un continente che preoccupa”, come ha detto l’Oms. Come si può aiutare l’Africa in questa emergenza?

L’Africa in generale, anche se ci sono delle varianti significative tra uno stato e l’altro ha delle carenze sia come infrastrutture sanitarie che generali e rispetto a questo l’Italia e altri paesi più sviluppati hanno da proseguire nel loro programma di cooperazione per lo sviluppo. Giustamente –conclude il presidente Fidu -, da qualche tempo si parla di co-sviluppo, perché noi non dobbiamo pensare che gli stati attualmente più industrializzati ed economicamente più evoluti non abbiano bisogno della cooperazione internazionale e di vivere nella interdipendenza globale però bisogna continuare nei programmi di cooperazione per l’Africa e per le nazioni più povere senza mai dimenticare quello che stato il nostro passato”.