Continua la drammatica situazione in Sud Sudan, colpito da una gravissima carestia che dura ormai da mesi. Secondo la Fao, sarebbero almeno 5 milioni le persone che stanno letteralmente morendo di fame, non solo per la mancanza di cibo e beni essenziali, ma anche per una forte tensione politica che peggiora le condizioni della popolazione. A tutto questo si somma la difficoltà di fare arrivare gli aiuti internazionali a destinazione a causa dell’insicurezza generale che si respira per le strade. A raccontare in modo approfondito la situazione è mons. Giorgio Biguzzi, vescovo emerito di Makeni, in Sierra Leone, intervistato da Radio Vaticana.
Secondo mons. Biguzzi, le radici di questa forte instabilità sono lontanissime e vanno ricercate negli anni di guerra e di guerriglia per l’indipendenza, negli interessi internazionali e nelle lotte tribali per la conquista del potere. “Il Sud Sudan è un Paese ricco di petrolio, di acqua e di tante altre ricchezze – ricorda il vescovo emerito – e, come dice la Bibbia, ‘Dove sono i cadaveri, lì si radunano le aquile’ “.
Dopo una piccola ripresa tra il 2014 e il 2015, spiega Biguzzi a Radio Vaticana, è scoppiata nuovamente la guerra, che ha causato migliaia di vittime: “molta gente, quindi, ha dovuto smettere di coltivare anche perché coltivano, poi magari arriva un gruppo di guerriglieri e porta via, saccheggia … Quindi non c’è più la voglia di tentare, perché il futuro è incerto”.
A peggiorare una situazione già di per sé critica è stato anche il brusco calo delle esportazioni di petrolio e il conseguente crollo delle finanze dello Stato, una vera e propria crisi per la quale, afferma Biguzzi, “non si sa come intervenire e, soprattutto, non si vuole intervenire in maniera energica perché ognuno ha da tutelare i propri interessi politici ed economici”.
A sostenere da anni la popolazione, conclude il monsignore, ci sono le Chiese cristiane e i loro leader, perché ” è dall’interno che deve arrivare la spinta per una risoluzione del conflitto, sostenere anche quei timidi gesti da parte dell’Onu e spingere sui suoi rappresentanti perché anche grandi potenze utilizzino il loro potere a beneficio della gente”.
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