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Ipofosfatasia: una malattia rara che colpisce le ossa. La storia di Luisa Nico

L’ipofosfatasia è una malattia genetica fortemente invalidante, caratterizzata dalla difettosa produzione di un enzima, chiamato fosfatasi alcalina tissutale non-specifica, essenziale specialmente per i normali processi di mineralizzazione delle ossa.

Nonostante i primi sintomi tendino a verificarsi a partire dall’infanzia, molto spesso vengono sottovalutati e scambiati per altro. Per questo motivo è fondamentale sensibilizzare la popolazione a riconoscere i segnali della malattia per intervenire tempestivamente. In alcuni casi, trattandosi di una patologia genetica si può anche esprimere già in epoca prenatale e causare il decesso in utero del feto.

L’intervista

Interris.it ha intervistato Luisa Nico, presidente dell’Associazione Pazienti Ipofosfatasia, che all’età di 40 anni ha scoperto di essere affetta da questa malattia rara. Da quel giorno, con la sua associazione, si impegna a sensibilizzare la popolazione a questo problema perché nessuno affetto da Ipofosfatasia si senta mai solo.

Luisa, fino a quando non ha saputo di soffrire di questa patologia come è stata la sua vita?

“Ero una bambina molto gracile con dei problemi a cui nemmeno i medici riuscivano a dare un nome. A otto anni già mi cadevano i denti da latte e raggiunta la maggiore età avevo quelli permanenti quasi tutti rovinati, fino a perderli a trent’anni. Anche solo passeggiando mi fratturavo le calcagna, mentre ricordo di essermi fratturata i piedi durante una gita in montagna. Il più delle volte i medici parlavano di tendiniti che non riuscivo a curare bene, invece si trattava di qualcosa di ben più grave. Una semplice botta al gomito mi durava molto tempo e mi provocava dei dolori indescrivibili ed ingiustificabili. A 40 anni ho scoperto di avere l’osteoporosi e successivamente il medico che mi curava si è accorto che avevo il valore della fosfatasi alcanina sempre al di sotto dei minimi. Mi sono sottoposta ad ulteriori indagini e ho scoperto di essere affetta da questa patologia”.

L’ipofosfatasia può manifestarsi in modo diverso in base alla gravità. Che cosa la rende più aggressiva?

“Dipende dalla penetranza, ovvero da quanto il gene ammalato si manifesta. Nel caso sia solo un gene ad essere ammalato, parliamo di eterozigote e la manifestazione della malattia dipende da quanto la parte che funziona riesce a tappare le falle della mancanza di attività dell’altro gene. Se invece, entrambi i geni sono ammalati e parliamo di omozigoti la situazione si aggrava molto, i sintomi sono subito più eloquenti e capita molto spesso che già che in fase embrionale il feto non ce la faccia a sopravvivere”. 

C’è poca conoscenza di questa malattia?

“Purtroppo come capita spesso con le malattie rare, c’è un pò di ignoranza e sono certa che molte persone non sanno nemmeno di soffrirne, fino a quando la loro condizione impatta fortemente con la quotidianità. Noi con l’associazione crediamo sia fondamentale parlarne per sensibilizzare i genitori a non ignorare i dolori alle ossa lamentati dai figli, gli insegnanti che notano una certa gracilità di un alunno o il dentista che vede tornare il paziente perché i denti cadono senza un vero motivo”. 

Quali sono i farmaci disponibili?

“Al momento non esiste un trattamento curativo per l’ipofosfatasia, anche se hanno dato buoni risultati i trattamenti sintomatici con farmaci antinfiammatori non-steroidei o la teriparatide. Negli anni ’70 è stato fatto uno studio che ha portato a un farmaco che riuscirebbe finalmente a dare sollievo e in alcuni casi guarire da questa patologia. Purtroppo però ne hanno potuto usufruire solo chi ha fatto delle cure sperimentali, dopodiché non è stato mai commercializzato in quanto il suo costo è troppo elevato e quasi nessuno se lo potrebbe permettere”. 

Elena Padovan

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