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La siccità in Italia: quanto rispettiamo l’acqua?

Laudato si’ mi Signore per sora aqua, la quale è multo utile, et humile, et pretiosa et casta”. Con queste parole San Francesco descrive l’acqua nel Cantico delle Creature, con lo sforzo di parlarne non in termini astratti, ma anzi cercando di instaurare con questo elemento una relazione. Spesso, nei dibattiti pubblici che interessano il pianeta, e in particolare l’acqua, si perde questa dimensione relazionale e ci si ferma ai numeri. In questo 2022 che ci sta regalando un’altra estate torrida, in cui sono ormai più che evidenti gli effetti della crisi climatica in atto, dal collasso del saracco sulla Marmolada alle temperature decisamente sopra la media, bisogna dire che uno degli aspetti più preoccupanti che va avanti ormai da diversi mesi è il tema delle precipitazioni su tutto il territorio nazionale.

Se in passato il problema della siccità e dell’approvvigionamento delle acque dolci riguardava prevalentemente le regioni del Mezzogiorno d’Italia, da qualche anno e in particolare in questo 2022 si sta presentando in tutta la sua drammaticità anche nelle regioni del nord, tradizionalmente meglio dotate in termini di bacini fluviali e di infrastrutture.

Il tema della siccità è stato affrontato dettagliatamente nell’ultimo rapporto dell’IPCC, in cui si definisce il termine “siccità”, gli impatti e i rischi, i cambiamenti previsti, i cambiamenti nella frequenza e nell’intensità degli eventi di siccità estrema, oltre che lo studio sui cambiamenti della criosfera, tema tragicamente tornato alla ribalta mediatica dopo gli eventi di Punta Rocca di questi giorni. Nel documento, inoltre, una attenzione particolare alle acque sotterranee, i cambiamenti nel rischio di siccità e gli effetti sul settore agricolo, sul settore energetico e sulla salute.

Il sempre più incombente rischio siccità per l’area del Mediterraneo

I risultati di questo studio, come del resto la gran parte delle analisi scientifiche che vengono svolte sugli impatti della crisi climatica in atto, devono metterci in allarme e farci capire che il tempo a nostra disposizione per invertire la rotta è sempre più limitato. È atteso un aumento dei rischi legati alla siccità e a livello globale, in conseguenza dell’aumento combinato degli eventi meteoclimatici estremi e della popolazione esposta. Dalle analisi del lungo periodo emergono significativi incrementi del rischio di siccità in tutti gli scenari, con un incremento particolarmente rilevante per l’area del Mediterraneo. In relazione a periodi prolungati di siccità emerge il rischio di una condizione irreversibile di aridità connesso soprattutto a livelli più alti di riscaldamento globale. Si prevede che l’uso dell’acqua in agricoltura aumenterà a livello globale, a causa dei cambiamenti dietetici globali, così come l’aumento dei requisiti idrici a causa del cambiamento climatico. Il cambiamento climatico, attraverso il suo impatto sulla disponibilità e la qualità dell’acqua, influenza i servizi igienici e la salute umana aumentando il rischio di malattie, direttamente o indirettamente. Anche il rischio di aumento dell’aridità associato a periodi prolungati di siccità è previsto a livelli più alti di riscaldamento, colpendo una percentuale crescente della popolazione: In Europa ad un livello di riscaldamento di 3°C sopra il preindustriale, si stima che 170 milioni di persone saranno colpite da siccità estrema. Il numero di popolazione esposta potrebbe essere ridotto a 120 milioni limitando il riscaldamento a 1,5°C.

Quella inequivocabile tendenza alla desertificazione

L’aspetto più preoccupante di questi studi è che certificano in maniera inequivocabile una tendenza alla desertificazione sempre più evidente in tante parti del pianeta, circa 200 Paesi e un miliardo le persone interessate da questo processo nel mondo; tra i più colpiti da questo processo abbiamo India, Cina e Pakistan in Asia, i Paesi africani e dell’America Latina nella fascia equatoriale e il Medio Oriente. Nell’ultimo periodo anche i paesi mediterranei dell’Europa sono stati fortemente interessati dalla desertificazione, oltre a Grecia, Cipro, Malta anche Spagna e Portogallo – quest’anno investiti da ondate di calore assolutamente sopra la media, e in maniera sempre più evidente anche l’Italia

Un focus sull’Italia

Se guardiamo più nello specifico l’Italia, analizzando due serie storiche distinte (una del 1990 e l’altra del 2000) e riportate nell’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche, i dati ci dicono che in Sicilia il 70% della superficie presenta un grado medio-alto di vulnerabilità ambientale, poi abbiamo Molise (58%), Puglia (57%), Basilicata (55%). In sei regioni (Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Marche, Sardegna e Umbria) la percentuale di territorio a rischio desertificazione è compresa fra il 30% e il 50%. Infine nelle restanti 7 (Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Toscana e Veneto) sono fra il 10% ed il 25%. Paradossalmente, sono proprio nell’ultimo gruppo le regioni italiane maggiormente colpite dalla siccità di questi mesi, che sta mettendo in ginocchio il settore agricolo ed energetico, con precipitazioni del 42% rispetto ai valori dello scorso anno.

In Italia, sono sempre più frequenti e a intervalli ridotti i periodi di siccità straordinaria, che rendono il processo ormai irreversibile. Per portare i regimi idrici a livelli “normali” ci vorrebbero anni, purché agli interventi sulle infrastrutture e alle normative sull’uso del suolo si associ anche un deciso cambio di rotta nei consumi

Il consumo di acqua

Secondo uno studio di Utilitalia, in Italia il consumo pro capite di acqua potabile (dato Istat 2018) è decisamente sproporzionato rispetto alla media europea: 215 litri per abitante al giorno, contro la media europea di 125 litri; per di più, nei Comuni capoluogo e Città metropolitane italiane, il dato (anno di riferimento 2020, Istat) sale ulteriormente fino a 236 litri. I principali consumi dell’acqua riguardano: irrigazione 51%, industriale al 21%, civile 20%, energia 5%, zootecnica 3%.

Altro tema importantissimo, quando si parla di sorella acqua che è “preziosa e casta”, riguarda gli sprechi. La rete nazionale, in media, rileva perdite intorno al 42%, considerato che per lunghi tratti è una rete obsoleta di oltre mezzo secolo. A questi sprechi vanno aggiunti coloro che usufruiscono abusivamente dei servizi idrici, prelevando dalla rete pubblica senza controlli o autorizzazioni, i malfunzionamenti delle reti domestiche, i costi eccessivi della gestione delle acque in alcune aree del Paese, soprattutto nel sud Italia.

Per fare fronte a questa situazione, con la realizzazione di serbatoi, nuovi approvvigionamenti, riutilizzo delle acque reflue, riduzione delle dispersioni e interconnessioni tra acquedotti, il settore idrico ha in previsione circa 10,9 miliardi di euro di investimenti nei prossimi 5 anni. Ma non saranno sufficienti se li immaginiamo come soluzioni “una tantum” e scollegate dalla più complessa crisi socio ambientale che sta riguardando il nostro pianeta.

I rischi che tutto sia vano se non invertiamo la rotta

Finché continuiamo a parlare di “acqua”, e non di “sorella acqua”, finché non ci spingiamo a metterci in sincera relazione con lei, al punto da cercare aggettivi che la identifichino e la valorizzino, finché non viviamo una conversione all’ecologia integrale, ogni sforzo rischia di essere vano. Se a questi interventi di ammodernamento della rete non si affianca una massiccia campagna di riforestazione, che può decisamente mitigare le percentuali di gas serra nell’atmosfera, la desertificazione continuerà a essere un processo irreversibile e incontrollabile. Abbiamo bisogno di unire le nostre forze, e di impegnarci con azioni concrete e con stili di vita più sostenibili, per un pianeta più accogliente da lasciare in eredità ai nostri figli.

Tomas Insua

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