E’ importante educare i giovani non solo a cercare un posto di lavoro, ma a crearne uno a loro volta. Su questa linea del pensiero di Muhammad Yunus, l’economista bengalese “padre” del microcredito e premio Nobel nel 2006, si muove l’idea che spinge il laboratorio di pasticceria sociale DolceMente di Cerreto Sannita, nel beneventano. Questo progetto è dedicato a formare, con skills professionali, giovani con disabilità, in modo da offrire loro delle prospettive di una vita autonoma una volta terminati gli studi o di fronte all’eventualità non poter più contare sull’assistenza dei propri familiari.
Avviato cinque anni fa dalla cooperativa sociale di comunità iCare, DolceMente opera dove i servizi specifici per la disabilità adulta – dall’istruzione a quelli socio-riabilitativi – faticano ad arrivare, una volta finita la scuola dell’obbligo, dove per questi soggetti più fragili la socialità si restringe e dove la principale fonte di cura, sostegno, gestione e di assistenza è fornita dalla famiglia.
Per mettere in pratica la cultura della cura evocata da papa Francesco e per rispondere a quei casi di disagio economico, DolceMente crea uno spazio inclusivo e attento ai bisogni specifici delle persone e dà vita a un circuito del consumo consapevole, rispettoso dell’ambiente e legato al territorio.
Per approfondire il senso e il valore di questo progetto, Interris.it ha intervistato don Matteo Prodi, responsabile della Scuola di impegno socio-politico nella Diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti.
Come è nato questo laboratorio di pasticceria sociale?
“Nel 2017 l’attuale vescovo di Napoli monsignor Domenico Battaglia ha fondato questa cooperativa sociale di comunità, iCare, per creare occasioni di lavoro per i giovani, prestare attenzione alle fragilità e dare una speranza al territorio. Uno dei progetti scaturiti da questa iniziativa è stato DolceMente, spinto dal desiderio di far lavorare sia quelli che noi chiamiamo ‘normali’ che persone con diversa abilità. Fin da allora, gruppi di 25/30 ragazzi svolgono due turni settimanali di due ore l’uno, seguiti dagli operatori e quattro volontari. Dopo il momento più duro del lockdown, oggi ci stiamo riprendendo”.
Come fate concretamente a intercettare i bisogni di tutti e come un progetto si costruisce “dal basso”?
“All’inizio è stato richiesto ad ogni parrocchia della nostra diocesi di mandare due delegati – oggi siamo arrivati a essere una sessantina di associati – che raccoglievano i bisogni del territorio. Erano una prima forma di contatti con il mondo della fragilità. Si sono aggiunto poi i rapporti con le famiglie e con i servizi sociali. Questi giovani, ragazzi e ragazze, finché vanno a scuola sono abbastanza seguiti, ma dopo hanno una minore socialità e man mano si chiudono alle relazioni. Li assistono i genitori, ma anche per loro gli anni passano e di conseguenza vengono meno anche le loro capacità di assistenza. Per questo stiamo caldeggiando un ulteriore progetto, ovvero delle strutture residenziali che si possano occupare di loro, una volta che i loro familiari non ci saranno più o non potranno comunque più prestargli assistenza”.
Come vengono formati, in base ai bisogni individuali di ciascuno?
“Nel laboratorio gli diamo una formazione semplice, oltre a una conoscenza delle precauzioni da avere in cucina e delle norme igienico-sanitarie, insegnandogli quello che riescono a fare. Quando andiamo a vendere i nostri prodotti, cerchiamo di coinvolgere i ragazzi per mostrargli che il loro lavoro funziona e che sono apprezzati. Con questo laboratorio, con le attività, si aprono, fioriscono. Ci piacerebbe poterli contrattualizzare o vederli inseriti nel mondo del lavoro”.
A proposito di prodotti, quali sono le loro specialità?
“La cosa che fanno meglio sono i biscotti secchi, mentre i fiori all’occhiello sono i panettoni natalizi e le colombe pasquali di tanti gusti e tipologie, dal cioccolato ai frutti di bosco. Con questi partecipiamo a feste, banchetti, catering. Due anni fa sono stati chiamati a un convegno ecclesiale a Verona e hanno potuto mostrare quello che fanno concretamente al laboratorio”.
Verso quali obiettivi muovete i prossimi passi?
“Quando abbiamo cominciato siamo stati sostenuti soprattutto con dei sussidi, ma la nostra idea è quella di “diventare grandi”. La prospettiva, possibile, è di essere autonomi creando ancora più rete con la filiera delle realtà del territorio, perché i nostri prodotti vengono venduti un po’ ovunque. L’imprenditoria è una cosa sana, il premio Nobel per l’economia Yunus ci ha spiegato che dobbiamo educare i giovani a creare lavoro”.
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