Mangiacavalli (Fnopi): “Affrontare la sfida odierna sulla carenza di infermieri”

L'intervista di Interris.it a Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi, per approfondire il tema fondi per la sanità stanziati nella Manovra 2024

La Manovra 2024 approvata dal Governo nel corso del Consiglio dei Ministri lo scorso 16 ottobre stanzia dei fondi per la sanità pubblica: è stato previsto uno stanziamento aggiuntivo pari a 3 miliardi per l’anno 2024 (al quale devono aggiungersi le risorse Pnrr e i 300 milioni riconosciuti alla Regione Sicilia) e 4,2 miliardi a decorrere dall’anno 2026. Questo fa salire il Fondo Sanitario per il 2024 a 136 miliardi di euro, il più alto investimento mai raggiunto per la Sanità secondo quanto affermato da Giorgia Meloni.

L’intervista

Interris.it ha intervistato la dottoressa Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (Fnopi), per approfondire l’argomento.

Dottoressa Mangiacavalli, secondo una stima della Corte di Conti il sistema sanitario nazionale è carente di infermieri; ne mancano circa 65mila all’appello. Come mai questo? 

“Le carenze c’erano già prima del blocco delle assunzioni che si è registrato nel 2009, e si sono aggravate ovviamente perché da quel momento le persone sono rimaste sempre le stesse, i bisogni, sia dal punto di vista epidemiologico che demografico e di necessità dei servizi sono aumentati, ma rispetto a una fuoriuscita di professionisti per pensionamenti, per le ormai famose ‘fughe’ all’estero alla ricerca di retribuzioni e condizioni di carriera migliori, per abbandoni legati a vari fattori a volte fisiologici, a volte no, sono drasticamente diminuite. Inoltre, una coperta già corta di per sé, ha avuto il suo showdown finale purtroppo con la pandemia, quando la ricerca di personale ha scoperto alcuni servizi e ha mostrato la gravità di una carenza che attualmente, senza nuovi interventi strutturali, non si può certo risolvere ‘importando’ infermieri dall’estero. Nulla da dire in questo senso se si torna al rispetto della legge che prevede il riconoscimento dei titoli, la verifica della conoscenza della lingua italiana e l’iscrizione agli ordini professionali quale garanzia professionale e deontologica della qualità dell’assistenza. Ma si devono abbandonare del tutto i criteri emergenziali adottati purtroppo ancora una volta durante la pandemia e all’inizio della guerra in Ucraina, perché oggi abbiamo, ma è una stima, almeno 13.000 infermieri di cui non si sa quasi nulla e sui quali gli ordini non possono esercitare i loro controlli che sono a tutela dell’assistenza ai cittadini. Inoltre, all’orizzonte ci sono pensionamenti in vista che nei prossimi dieci anni saranno nell’ordine delle centomila infermieri e i nuovi laureati non ce la faranno mai neppure a coprire il turn over, figuriamoci a colmare la carenza”.

Quali sono le difficoltà di chi vuole intraprendere la professione di infermiere? 

“Le più evidenti sono le stesse che provocano la perdita di attrattività della professione. Mi riferisco ovviamente al livello retributivo, tra i più bassi rispetto ai paesi OCSE e ancora di più considerando solo i paesi UE e alla possibilità di carriera. Oggi chi entra nella professione dopo la laurea rischia di uscirne al momento della pensione praticamente senza aver ottenuto alcun riconoscimento per la sua professionalità. Esattamente l’opposto di quanto avviene all’estero, anche nei paesi vicini a noi, dove gli stipendi sono doppi se non tripli o anche di più e dove, comunque, la professionalità che l’infermiere acquisisce è riconosciuta sia a livello clinico con la formalizzazione di precise specializzazioni e percorsi e sviluppi di cura, Tutto comunque in una assoluta autonomia professionale che presuppone il lavoro in team con le altre professioni, ma riconosce l’unicità e le peculiarità di quella infermieristica. Poi ci sono anche altre difficoltà. Come Federazione ne abbiamo identificate tre maggiori: rispetto alla demografia, il calo di giovani che porterà inevitabilmente a una riduzione dei possibili candidati futuri alle lauree in infermieristica; la necessità che l’attrattività della professione non sia legata a fattori socio-economici ma a sbocchi di carriera e professionali costanti, come già accennato; l’aumento del costo della vita, che rende le scelte dei giovani più ‘stanziali’ nel senso che la volontà è di iscriversi alla facoltà, ma purché sia nella Regione di residenza e possibilmente più vicina possibile al proprio domicilio per limitare le spese rispetto ai costi di studi fuori Regione, penalizzando le Regioni più ‘anziane’”.

Nella manovra 2024, recentemente approvata dal governo, sono stati stanziati dei fondi per la sanità, di cui circa 2,3 miliardi che dovranno essere impiegati per il rinnovo contrattuale di medici e infermieri. Mentre per i medici sembrerebbe essere già stato quantificato l’aumento di stipendio, questo non è accaduto per quel che riguarda le retribuzioni ordinarie degli infermieri. Qual è la vostra posizione a riguardo?

“Le voci sui vari livelli di aumento legati alle risorse contrattuali sono oggi in una bolla mediatica da cui si uscirà solo al momento della pubblicazione ufficiale della prima bozza di legge di bilancio e, successivamente, quando verranno emanati gli atti di indirizzo per la stesura dei contratti. Non si può commentare qualcosa che non è stata ancora decisa nella sua applicazione, oltre al fatto che questo tipo di attività è squisitamente sindacale e non fa parte delle attività core della Federazione. Certo, come si nota, le differenze sono notevoli e questo rientra anche negli esempi fatti per l’attrattività e per lo sviluppo della professione”.

Sono stati stanziati, inoltre, dei fondi per il progetto di snellimento delle liste di attesa: saranno detassati con una flat tax al 15% i compensi per l’extra orario che medici e infermieri dedicheranno all’abbattimento delle liste d’attesa con compensi orari lordi di 100 euro per i primi e di 60 euro per i secondi. Ma il ricorso continuativo agli straordinari non potrebbe generare situazioni di burnout?

“La detassazione degli straordinari va bene, ma non l’uso che si fa oggi di questa modalità di lavoro. Attualmente l’assistenza nei luoghi di ricovero è garantita soprattutto grazie a una mole notevole di ore di straordinario degli infermieri, fatto questo che porta a un lavoro eccessivo spesso seguito da burnout e dall’impossibilità di far fronte in tempi ragionevoli alle esigenze dei cittadini-pazienti anche con l’incremento delle liste di attesa. A dimostrazione che l’uso dello straordinario dipende proprio dall’alto livello di carenza, nelle Regioni si passa ad esempio dai 217 euro del Friuli Venezia Giulia, che incidono solo per lo 0,66% sulle buste paga, ai 2.476 euro della Campania, che invece pesano per il 6,85% sullo stipendio. E verificando il livello della carenza, si vede che, mentre in Friuli-Venezia Giulia di infermieri per rispettare i livelli indicati dagli standard internazionali ne mancherebbero meno di 50, in Campania si superano di molto gli 11mila. Per comprendere l’effetto del super lavoro un esempio è quanto accaduto durante la pandemia, quando gli operatori sanitari hanno dovuto far fronte a turni davvero estenuanti, specialmente gli infermieri. Secondo una ricerca condotta dall’università di Bari in quel periodo, soprattutto i disturbi del sonno, ma anche l’ansia e l’incapacità di fronteggiare lo stress, sono aumentati notevolmente. Il 71,4% degli infermieri intervistati nell’indagine ha affermato di soffrire di disturbi del sonno, il 33,23% di ansia moderata e il 50,65% di avere una scarsa autoefficacia. Effetti indubbiamente pesanti sui professionisti, ma che si ripercuotono anche sulla qualità dell’assistenza e, come accennato prima, spesso portano anche alla scelta estrema dell’abbandono della professione. Situazioni che davvero non si possono né si devono sostituire a veri interventi per garantire qualità ed efficienza dell’assistenza”.

Alla luce delle informazioni sulla manovra che abbiamo a nostra disposizione, cosa consiglierebbe al governo per migliorare la situazione lavorativa degli infermieri?

“Abbiamo già messo nero su bianco per le istituzioni i percorsi possibili. È necessario che la ‘questione infermieristica’ sia affrontata nella sua totalità. La sfida odierna sulla carenza di infermieri va affrontata, oltre che quantitativamente con l’offerta formativa, anche qualitativamente con l’evoluzione degli attuali percorsi formativi offerti ai giovani futuri infermieri, ‘i veri garanti dell’assistenza’. Per invertire la rotta è necessario e non più rinviabile:il finanziamento delle lauree magistrali abilitanti a indirizzo clinico per avere infermieri specialisti in grado di gestire una filiera assistenziale composta da più professionisti con livelli di competenze diversificate per rispondere ai bisogni sempre più complessi della popolazione; il finanziamento dei docenti infermieri (necessari a garantire la qualità formative e quindi dell’assistenza) che devono rientrare sotto il governo del ministero dell’Università e non più, come indica il Dlgs 502/1992, sotto quello delle aziende; la revisione dei criteri di accesso ai corsi di laurea triennali (test di ammissione separato con nuove modalità; autonomia e specificità della selezione al corso).chiediamo poi un cambio immediato dei modelli organizzativi con maggiore autonomia infermieristica e una nuova riqualificazione, il riconoscimento della branca assistenziale infermieristica nei LEA e nuovi sbocchi di carriera e professionali. Poi naturalmente la retribuzione. Va aumentato subito il potere contrattuale e creata un’area contrattuale separata. Va aumentata anche l’indennità di specificità infermieristica di almeno il 200% (216 euro lordi/mese). Per la distribuzione geografica degli infermieri e per evitare fughe sull’asse Nord-Sud (così come all’estero) si deve poi intervenire subito sulle modalità di reclutamento e ingaggio per coprire sia i singoli servizi sia le singole aree geografiche con i più giusti e motivati professionisti, in coerenza con le competenze e le specializzazioni grazie a concorsi mirati e infungibilità. Nessuna altra soluzione può essere ritenuta adeguata se prima non saranno messe in atto queste nuove misure strutturali”.