I due volti dell’istruzione in emergenza. Intervista a suor Trigila

Intervista di Interris.it all'educatrice salesiana suor Maria Trigila sulla didattica ai tempi dell'emergenza sanitaria e sulle ferite e le implicazioni educative dell'istruzione in pandemia

Programma

“In tempo di pandemia l’istruzione diventa una sorta di didattica a doppio volto“, spiega a Interris.it suor Maria Trigila.

L’istruzione come vocazione

Educatrice e comunicatrice, sempre al sevizio degli ultimi, più che mai in tempo di pandemia. Suor Maria Trigila è stata la prima religiosa ad aver conseguito in Italia il tesserino di giornalista professionista. Siciliana di Caltagirone, la città natale di don Luigi Sturzo, dopo la laurea in lettere e due specializzazioni (Comunicazione sociale e Teologia) ha diretto la comunicazione dell’Istituto Maria Ausiliatrice, ha insegnato giornalismo all’Università Salesiana Auxilum di Roma e ora si dedica a tempo pieno alle emergenze sociali nei quartieri poveri di Catania.Cosa sta accadendo all’istruzione nella fase due della pandemia?

“Da un certo punto di vista l’istruzione fa un salto di qualità perché si esprime in presenza ed anche su piattaforma telematica. Ma è necessario curare l’aspetto educativo dell’istruzione. Diventa, cioè, una didattica infiltrata nei circuiti elettronici per mediare con efficacia la conoscenza, il sapere”.scuolaDa educatrice come vive questa prova?

“Da educatrice, dico a me stessa una cosa. L’essenziale è saper individuare quel punto che rende reciproci la didattica in presenza e la didattica integrata. E non è facile. È una ricerca quotidiana. Quindi la pandemia ci sta mettendo in una situazione di riflessione e di ricerca di strategie. È certamente una sfida”.Con quali difficoltà?

“Il vero problema è che non siamo sufficientemente preparati nell’uso degli strumenti. E molte scuole non sono forniti di mezzi informatici adeguati. Il punto è che quello che sta cambiando, a mio avviso, non è l’istruzione. Bensì l’accompagnamento verso i ragazzi. Il contatto che guarda negli occhi l’allievo per vedere se l’informazione culturale è passata, è stata chiara”.

Didattica a distanza

Perché?

“Non percepisco, nel corso della spiegazione o dell’interrogazione, il linguaggio del corpo. Elemento indispensabile nell’istruzione. Manca la carica di umanità visibile nel prendersi cura dello sviluppo culturale del giovane”.Può farci un esempio?

“Insegno alla Scuola don Bosco Ranchibile a Palermo. Una scuola dotata di strumenti informatici. Ogni alunno ha il proprio ipad. Da questo punto di vista si passa agilmente dalla didattica in presenza a quella integrata. L’attenzione che poniamo è proprio nel dare ‘un’anima’, ‘una sensibilità’ al mezzo. Ossia, personalmente, cerco di utilizzare un linguaggio concreto, informale anche se specifico. A trasmettere un volto di docente serena, tranquilla”. Cioè?

“Il segreto è riuscire a bucare lo schermo del computer. Per dare ai ragazzi, che comunque si sentono smarriti, sostegno, condivisione. Tutta la comunità educativa è impegnata al massimo. Ci adoperiamo ad andare oltre lo strumento. Perché, al momento, è l’unico modo per apprendere. Per crescere e maturare”.Quali valori è importante trasferire ai giovani oggi?

“A caldo direi il buon senso. La giusta misura. L’equilibrio. La serenità. La capacità di adattamento. La pandemia ci sta facendo rispolverare il valore della pazienza. Della saggezza. Oltre a quello della responsabilità condivisa. E della tolleranza. Il lockdown ha cambiato lo stile di vita dei ragazzi. Il loro modo di vivere ed esprimersi in tutti i luoghi e i non luoghi. Dall’aula alla piazza, dalla strada al pub. Dal gruppo al singolo. Dall’abbraccio alla distanza sociale di almeno un metro. Siamo tutti impegnati a convivere con l’atmosfera ‘covidiana’. Speriamo di richiudere in fretta questo vaso di Pandora”.

Il premier Conte e la ministra dell’Istruzione Azzolina in visita all’istituto comprensivo “Francesco Gesuè” di San Felice a Cancello

La società ne uscirà migliorata o peggiorata?

“Credo che la risposta debba essere a doppio binario. È innegabile che la pandemia abbia influenzato lo stile di vita, abbia alterato la libertà personale. Ma non dovrebbe far cambiare la dinamica dell’amore, dell’amicizia, della convivialità. Sono queste tutte risorse che magari abbiamo riscoperto e meglio valorizzato nel lockdown. Abbiamo dovuto declinare delle nuove abilità per non cadere nella trappola delle emozioni. Con un’aggiunta necessaria”.Quale?

“La pandemia ha messo il dito sulla piaga di alcune fragilità relazionali, già esistenti. E che hanno frantumato lo stato del quieto vivere. Ma l’emergenza sanitaria non ha massificato le relazioni. Perché ciascuna persona ha dato all’evento la propria personale risposta. Il punto, secondo me, è avere chiarezza, su un aspetto. E cioè, la nostra è una convivenza forzata? Capire se davvero è alimentata dall’amore a fondo perduto. E questa domanda tocca tutti: le coppie, le famiglie e le comunità. Dobbiamo quindi ragionare su che cosa alimenta o favorisce l’equilibrio relazionale”.A cosa si riferisce?

Tempo fa lessi un libro in cui l’autore diceva che a far funzionare una coppia è l’addizione di 1+1=3. Cioè la relazione di coppia, familiare e di comunità dovrebbe mirare a costruire insieme uno spazio più esteso di contatti. Oltre quelli interpersonali. Non è la situazione di insicurezza che fa cadere la connessione. Anche se costretti a ridurre lo spazio delle relazioni sociali”.


AgF Bernardinatti Foto

Quali sono gli effetti?

“Condividere (per 24 ore e ogni giorno) la quotidianità ha due conseguenze. Da un lato mette a nudo le fragilità o fa esplodere situazioni latenti. Dall’altro favorisce la co-gestione della stessa quotidianità. E anche lo sviluppo di una progettualità a due, a quattro, tra 40 membri. Sono convinta che da ogni rischio e da ogni limite può nascere un’opportunità. Bisogna saperla cogliere”.Diventeremo più solidali o più egoisti?

“Penso né l’uno né l’altro. Secondo me, la condizione di ansia ha maggiormente marcato un confine. Quelo che esiste dentro ciascuno di noi tra ripiegamento su noi stessi o individualismo e il senso della solidarietà o partecipazione. Ecco, credo, che questo confine, nel periodo di quarantena, sia stato messo a rischio. Anche se la reazione di ciascuno è dettata da tanti fattori, alcuni relativi alla propria personalità”.I giovani matureranno prima a causa della pandemia?

“Si, proprio così. Si acquisisce una maggiore coscienza della propria finitudine e soprattutto del senso della vita. Tutti abbiamo mobilitato le paure, abbiamo sentito il nostro pensiero bloccato ed anche la nostra azione si è fermata. Proprio questo ci ha fatto maturare nella gestione della routine quotidiana. E nel ritrovare noi stessi, il nostro pensiero, la nostra anima. Abbiamo ripreso il dialogo e l’intimità con Dio”.

Quali segni resteranno nell’animo?

“La vulnerabilità, il dolore, la nostalgia dei propri cari ed amici che sono morti soli. La solidarietà cercata e voluta. La coscienza che non siamo i padroni della nostra vita, ma che la gestiamo per un tempo. Sono solo alcune delle profonde ferite che ci segneranno sempre. Possiamo solo elaborarle per integrarle nel nostro animo. Non si può uscire oggi da un’apocalisse ritornare alla vita di prima e guardare l’altro senza che insorga il timore del contagio”.E i danni economici?

“La pandemia ha aperto ferite economiche che hanno messo in difficoltà  le componenti più fragili della società. Gli anziani, i malati, i bambini e i giovani, i migranti irregolari e  ‘invisibili’. E quindi non raggiungibili dalle reti di protezione sociale, i precari, gli stagionali, le organizzazioni di terzo settore. Si sono amplificate le diseguaglianze e distanze sociali. La ferita della vulnerabilità declamata a caratteri cubitali dai mass media”.Incide il digital divide?

“Abbiamo contemplato quanto il digitale abbia invaso il reale. Diventando quasi l’unico spazio possibile di relazione e di condivisione in tempo reale. Questa ferita pubblica può trasformarsi in positiva possibilità. In modo particolare per i nativi digitali. Però non va dimenticato il diritto al rispetto della dignità della persona umana”.Cosa teme?

“Occorre vigilare affinché la relazione digitale dello smart working non crei ferite psicologiche. Penalizzando la valenza antropologica della relazione di presenza”.