Hongana Manyawa: gli “ultimi” sacrificati al benessere dei “primi”

La corsa al presunto benessere si traduce solo nel cercare la ricchezza materiale, ne pagano le spese i più deboli

Foto di Iswanto Arif su Unsplash

La piccola popolazione (di circa 500 individui), da sempre incontattata, degli Hongana Manyawa, vive nell’isola indonesiana di Haimahera ed è profondamente legata alla vegetazione del posto (tanto che il nome stesso, nella loro lingua, significa “popolo della foresta”) perché ne garantisce l’esistenza. La foresta è l’elemento fondamentale, che tiene in vita la tribù e a cui si tributa il massimo rispetto. La sopravvivenza di questa popolazione, tuttavia, è posta a rischio a causa delle operazioni, su larga scala, per ottenere il nichel necessario alle batterie elettriche dell’Occidente (e non solo). L’Indonesia, peraltro, è la nazione che figura al primo posto nel mondo per la produzione di nichel ed è intenzionata a soddisfare gli appetiti delle grandi realtà internazionali.

In questo quadro, si inseriscono gli appelli alla salvaguardia degli Hongana Manyawa, affinché la deforestazione e la conseguente estrazione del minerale non pregiudichino la sopravvivenza della tribù. In un’occasione, un gruppo di nativi, allarmato, si è scagliato, con bastoni e frecce dinanzi alle scavatrici, nel vano tentativo di bloccarle. Possono, questi mostri metallici, guidati dall’esosità umana, fermarsi dinanzi a un piccolo drappello? Gli indigeni si rendono conto, dunque, di essere sempre più prigionieri in un lembo di terra che si assottiglia gradualmente, con il rischio concreto di esaurirsi. Si distrugge il verde per creare più verde.

A livello mediatico, nonostante qualche fonte di nicchia, non vi è grande riscontro. Si tratta, forse, di un prezzo (quello della sopraffazione della tribù) da pagare per il progresso? Che non può e non deve turbare l’occidentale contornato dalla sua potente e ammirevole automobile? Sarebbe opportuno attivare l’attenzione anche nei confronti di questi casi. I possibili e piccoli genocidi non devono sfuggire all’attenzione mondiale.

Il 9 agosto 2022, Papa Francesco, in occasione della “Giornata Internazionale dei popoli indigeni”, ha ricordato, in un tweet “Quanto è prezioso quel senso di familiarità e di comunità che è tanto genuino presso i #PopoliIndigeni! E quanto è importante coltivare bene il legame tra i giovani e gli anziani, e custodire un rapporto sano e armonioso con l’intero creato!.

La Giornata Internazionale dei Popoli Indigeni, è stata istituita dall’Onu, nel 1994, per ricordare lo sfruttamento delle terre e delle risorse naturali perpetrato contro le popolazioni autoctone; la prossima edizione è prevista per il 9 agosto 2024. Altre grandi e piccole realtà del mondo, oltre quella indonesiana, soffrono dello stesso grave problema.

Ana Miguel Regedor, avvocato, è l’autrice del volume “Diritti dei popoli indigeni e conservazione dell’ambiente in Amazzonia”, pubblicato da “Edizioni Sapienza” nell’aprile scorso. Parte dell’estratto recita “affrontare i legami tra la protezione dei diritti umani e la conservazione dell’ambiente. Pertanto, affronteremo i conflitti sociali e ambientali relativi alle concessioni industriali, alla costruzione di infrastrutture e alle politiche di sviluppo in Amazzonia dalla lente dei diritti dei popoli indigeni”.

Vatican News, al link https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2019-08/giornata-internazionale-dei-popoli-indigeni-salvare-le-lingue.html, ricorda “Quando parliamo di popoli indigeni ci stiamo riferendo a una realtà composita di circa 370 milioni di persone, che rappresentano meno del 5% della popolazione mondiale ma il 15% dei più poveri del pianeta. Divise in 90 Paesi, queste popolazioni sono portatrici di 5000 diverse culture e custodi di 7000 lingue”.

SicurAUTO.it, magazine del settore auto, offre, al link https://www.sicurauto.it/news/auto-elettriche-batterie-e-colonnine-tutti-i-dati-globali-al-2022/, numerosi dati del versante opposto. Fra questi “I mercati più importanti, a livello di auto elettriche sono Cina, con il 60% delle vendite globali di auto elettriche nel 2022; Europa, con circa il 25% (+15% rispetto all’anno precedente); USA, con quasi l’8% e in crescita del +55% rispetto all’anno precedente. Al di fuori dei principali mercati, le vendite di auto elettriche sono generalmente basse, ma il report IEA evidenzia una forte crescita anche in India (1,5%), Thailandia (3%) e Indonesia (1,5%). […] Nel 2022, circa il 60% della domanda globale di litio, il 30% di cobalto e il 10% di nichel era per le batterie dei veicoli elettrici. Solo cinque anni prima, queste quote erano rispettivamente intorno al 15%, 10% e 2%”.

La “Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni” è stata adottata il 13 settembre 2007. Garantisce diritti fondamentali e tutele inalienabili. Consta di 46 articoli, fra questi è possibile ricordare, per il caso specifico degli Hongana Manyawa, il n. 19, che recita “Gli Stati devono consultarsi e cooperare in buona fede con i popoli indigeni interessati tramite le loro proprie istituzioni rappresentative in modo da ottenere il loro libero, previo e informato consenso prima di adottare e applicare misure legislative o amministrative che li riguardino”. Il secondo comma dell’articolo 26 prescrive “I popoli indigeni hanno diritto alla proprietà, uso, sviluppo e controllo delle terre, dei territori e delle risorse che possiedono per motivi di proprietà tradizionale oppure di altre forme tradizionali di occupazione o uso, come anche di quelli che hanno altrimenti acquisito”.

La tribù non ha concesso il proprio “libero, previo e informato consenso”, anzi, ha dimostrato il contrario. Tale scelta, secondo la normativa internazionale vigente, va rispettata. Il loro, in fondo, è un “crimine” efferato: impedire l’assoluta transizione ecologica a livello mondiale, salvo qualche “piccola” nota stonata, quali le fabbriche più inquinanti, le capitali avvolte dalla nebbia dello smog, le città ricolme di rifiuti, ecc. Si paventa il sacrificio e l’eliminazione totale dei nativi per il benessere green dell’Occidente. Una storia, già vista, di violenza, sopraffazione, discriminazione, verso una società libera ma colpevole di essere fragile e recalcitrante al progresso.

La storia umana si è snodata attraverso conquiste e assoggettamenti di altre popolazioni. È avvenuto anche in epoche relativamente recenti e in forme estese, con conseguenze gravissime. In quest’ottica rientrano il genocidio commesso nei confronti degli indiani d’America e il colonialismo posto in essere dalle nazioni europee. L’ingiusta sottomissione, effettuata dal più forte, non ha insegnato molto e ancora oggi, accanto a gravissimi conflitti, si assiste anche alla spoliazione di piccolissime realtà innocenti e innocue.

Le istituzioni, europee (UE) e mondiali (ONU), cercano di coinvolgere i rappresentanti delle tribù indigene contattate (che hanno rapporti con il resto del mondo), per strategie comuni di difesa delle diversità culturali, del territorio, del clima e del cambiamento climatico. A fronte di tali tentativi di dialogo e collaborazione, c’è la mano pesante, commerciale e consumistica che, con l’obiettivo di attingere alle materie prime, non conosce ostacoli e rimostranze.

I giovani delle tribù indigene rivestono un ruolo funzionale e indispensabile. Si trovano a cavallo tra la necessità e l’onore di tramandare le tradizioni e le saggezze degli anziani (affidate ai secoli e fulcro della sopravvivenza degli autoctoni) e quella di dover fronteggiare un’innovazione così legata alla possibile estinzione. Le nuove generazioni indigene rappresentano il vero e ultimo argine alla libertà delle proprie genti e alla loro conservazione; in tale nuovo ruolo, il punto di partenza è il legame e la difesa di quella terra, della fauna e della flora con cui, in un rapporto rispettoso, sano e autentico, condividono molti segreti. La difesa dell’ambiente trova, in loro, i paladini più attenti e motivati poiché, nelle piccole variazioni climatiche, avvertono immediatamente il campanello d’allarme per la loro esistenza e, di conseguenza, per tutti. L’emarginazione in cui versano tali popoli è palese. Il diktat è piuttosto evidente: o si adeguano al progresso e all’integrazione così come l’hanno decisa gli altri o rimangono esclusi da tutto, anche dai loro diritti. Gli ultimi del mondo hanno due chance: o sono sopportati perché pienamente sfruttati oppure, se dovessero rappresentare un ostacolo, eliminati.

La discriminazione è innanzitutto concettuale: il benessere della persona ricca, nel circolare con automobili rispettose dell’ambiente e dell’aria, si contrappone all’indifferenza per la sorte di chi vive in perfetta armonia con il creato. Vince la legge del più forte, del prepotente, del denaro. L’augurio è che tale ricerca spasmodica della ricchezza possa avere un freno, normativo e/o morale, impedendo la totale frattura tra chi può e chi non può. L’indigeno paga il prezzo dello stigma, dell’“essere diverso da”, della discriminazione, della perversa barriera dove la forza è sinonimo del giusto e la debolezza è un difetto.

La divisione sociale si fonda sul cannibalismo tra individui ma il pesce più grande deve effettuare un esame di coscienza e valutare, sempre, la possibile presenza di un altro suo simile, più grande e potente, che lo potrebbe inghiottire. Un tempo si assisteva alla corsa all’oro, poi al carbone, al petrolio, ora al nichel: il vero traguardo è, invece, dalla parte opposta, dove sono fermi gli “scarti umani” del momento. Pronti alla porta più stretta.