Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono circa 50.000 le donne incinte a Gaza. E circa 20 mila bambini sono nati dall’inizio della guerra, secondo l’Unicef. Nella Striscia è sempre più difficile per le donne partorienti e i loro figli accedere alle cure mediche. L’ospedale emiratino di maternità è l’unica struttura rimasta nell’area di Rafah per assistere le donne incinte. Ma il nosocomio è ora in grado di rispondere solo ai parti più a rischio e urgenti. “Con così tante persone sfollate, la situazione a Rafah è spaventosa. Tutti gli spazi sono sovraffollati, con persone che vivono in tende, scuole e ospedali. L’ospedale emiratino sta attualmente affrontando tre volte il numero di parti che gestiva prima della guerra”, afferma Pascale Coissard, coordinatrice dell’emergenza di Medici senza frontiere (Msf) a Gaza. Nella Striscia è sempre più difficile per le donne partorienti e i loro figli accedere alle cure mediche pre e post-natali.
Per ridurre il rischio di morbidità e mortalità tra le madri e i neonati, MSF supporta l’ospedale emiratino con assistenza post-parto. E ha aggiunto 12 nuovi posti letto al reparto arrivando a una capacità totale di 20 letti, consentendo così a più pazienti di ricevere un monitoraggio adeguato dopo il parto. “Senza forniture a sufficienza e troppi pazienti, il sistema sanitario è sotto pressione e le madri vengono necessariamente dimesse solo poche ore dopo aver partorito” spiega Rita Botelho da Costa, responsabile delle attività di ostetricia di MSF a Gaza. “Le prime 24 ore dopo il parto sono le più rischiose per possibili complicazioni e poiché la popolazione vive in condizioni così disperate è importante mantenere la paziente in ospedale più a lungo possibile”. A causa della difficoltà d’accesso ai servizi di salute materno infantile, molte donne incinte non hanno ricevuto nessun tipo di assistenza dall’inizio della guerra. E non hanno fatto visite di controllo. Maha è andata in ospedale non appena ha iniziato il travaglio ma, dopo aver scoperto che in ospedale tutte le sale parto erano occupate, è tornata nella sua tenda dove ha trovato rifugio in uno dei tanti campi per sfollati di Rafah. Ha perso suo figlio dopo che è stata costretta a partorire in un bagno pubblico senza alcuna assistenza.
Rana Abu Hameida, 33 anni, è stata ammessa al reparto di maternità dell’ospedale emiratino al sesto mese di gravidanza a causa di complicazioni, senza aver mai fatto nessuna visita dall’inizio del conflitto. “Da quando siamo sfollati, è stato difficile trovare il modo per andare in ospedale e accedere ai servizi sanitari” racconta Abu Hameida che è fuggita da Beit Lahya, al nord di Gaza e ora vive in una tenda. “È difficile trovare un posto per le cure o organizzare la mia vita in modo da poter ricominciare i controlli mensili. Vivo in una tenda, la vita è dura, soprattutto quando bisogna trovare cibo o acqua e dormire senza un giaciglio adeguato”. Quando le donne incinte non hanno accesso adeguato alle cure mediche, cibo a sufficienza o un rifugio appropriato, sia loro che i loro figli sono più esposte a problemi di salute, comprese le infezioni. I figli di donne denutrite incinte o in allattamento sono a rischio immediato di problemi di salute e potenziali carenze nello sviluppo a lungo termine. Oltre un terzo delle pazienti in cerca di cure prenatali soffre di anemia, una condizione critica per le donne incinte. Inoltre, quasi la metà di queste donne ha avuto infezioni gastro-urinarie, come ad esempio infezioni alle vie urinarie.
A Rafah, nell’ospedale emiratino le équipe di MSF forniscono cure post-parto così come supporto alla salute mentale. Nella clinica di Al Shaboura, le donne incinte ricevono cure prenatali, compreso lo screening per la malnutrizione e vengono forniti cibi terapeutici supplementari se necessario. Nella prima settimana di gennaio, le ginecologhe e le ostetriche di MSF hanno fornito cure prenatali ad oltre 200 pazienti nella clinica di Al Shaboura. Nel reparto di cure post-parto dell’ospedale emiratino, nella prima settimana di espansione del reparto, i team di MSF hanno ricevuto 170 pazienti. Tuttavia, senza sufficienti aiuti umanitari a Gaza e senza la protezione delle poche strutture sanitarie ancora in funzione, la fornitura di cure mediche continuerà ad essere una goccia nell’oceano. MSF ribadisce la richiesta per un cessate il fuoco immediato e incondizionato e chiede che le strutture sanitarie siano protette per salvare vite umane. È necessario ripristinare immediatamente il flusso di aiuti umanitari a Gaza e ristabilire il sistema sanitario. Da cui dipende la sopravvivenza di madri e bambini di Gaza. Significative le testimonianze di alcune donne ricoverate nel reparto maternità dell’ospedale emiratino a Gaza.
“Ho un’ipertensione cronica e sono venuta in ospedale per un controllo. Non c’è più l’assistenza di prima. La situazione è molto difficile. Vorrei che la situazione fosse meglio di così. Sono venuta qui per partorire. Ho fatto un parto cesareo. Il team di MSF si è preso cura di noi, me e mio figlio. Abbiamo ricevuto una buona assistenza sanitaria e ora speriamo che la situazione migliori. Abbiamo superato varie difficoltà, i checkpoint e i bombardamenti israeliani. Ho avuto paura per i miei figli, per me stessa, per mio marito e per la mia famiglia a causa degli attacchi israeliani. Speriamo che i prossimi giorni siano migliori di questi, che la situazione migliori e che possiamo tornare presto nelle nostre case a Gaza”, racconta Mariam Asaliya, ricoverata nel reparto maternità dell’ospedale emiratino. “La vita è molto difficile per noi. Per il cibo, l’acqua, la vita in tenda. Dormiamo per terra, non su un materasso. Poi ci sono le malattie, non ci sono bagni, è difficile. Mentre dormivo ho avuto delle perdite di sangue e acqua, così hanno dovuto portarmi qui all’ospedale emiratino. Quando siamo arrivati in ospedale, mi hanno visitato. Mi hanno detto che non c’era liquido intorno al feto e hanno fermato l’emorragia. Ho trascorso la notte in ospedale. MSF si è presa cura di me. C’erano altri 3-4 casi simili al mio, ci hanno messo in un reparto speciale per trascorrere la notte e monitorare la nostra situazione. Sono ormai 10 giorni che sono qui”, riferisce Rana Abu Hamida, ricoverata nel reparto maternità dell’ospedale emiratino.
“Ho avuto delle complicazioni durante la gravidanza. Mancano l’igiene e l’assistenza. Quando siamo arrivati all’ospedale emiratino, siamo rimasti sopresi di trovare un reparto gestito da MSF. Si sono presi cura di noi, ci hanno fornito ciò che era necessario. E ci sono stati vicini in un modo che non dimenticheremo mai. A loro dico: che Dio vi benedica per questi sforzi. Sono ancora in cura e, grazie a Dio, la mia salute è migliorata, la mia bambina sta meglio e Dio mi ha benedetto con un figlio. Ho provato una gioia doppia nonostante la guerra, i bombardamenti, la distruzione, e nonostante siamo sfollati in un luogo che non conoscevamo, un luogo affollato e con prezzi alti. Non ci sono cose a prezzi accessibili che possiamo permetterci”. Muna Dardouna, ricoverata nel reparto maternità dell’ospedale emiratino. L’ospedale emiratino di maternità è l’unica struttura rimasta nell’area di Rafah per assistere le donne incinte, ma a causa della continua crescita dei bisogni della popolazione e una carenza di risorse, l’ospedale è ora in grado di rispondere solo ai parti più a rischio e urgenti. Medici Senza Frontiere (MSF) è profondamente preoccupata per la crescente mancanza di assistenza ostetrica per le donne a Gaza.
“Con così tante persone sfollate, la situazione a Rafah è spaventosa” dichiara Pascale Coissard, coordinatrice dell’emergenza di MSF a Gaza. “Tutti gli spazi sono sovraffollati, con persone che vivono in tende, scuole e ospedali. L’ospedale emiratino sta attualmente affrontando tre volte il numero di parti che gestiva prima della guerra”. A causa della crisi umanitaria in corso – con i servizi sanitari primari inaccessibili e l’impossibilità di raggiungere gli ospedali per mancanza di carburante oltre che la scarsa capacità delle strutture sanitarie ancora funzionanti – le donne in gravidanza a Gaza non hanno avuto accesso ai controlli medici per mesi. Molte sono costrette a partorire in tende di plastica o in edifici pubblici. Chi riesce a partorire in un ospedale, spesso ritorna nel proprio rifugio di fortuna qualche ora dopo aver fatto un parto cesareo.
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