Ivan Cottini: “Il mio sogno? Una tv in cui la diversità sia normalità”

Si è discusso molto, nell'edizione appena conclusa del Festival di Sanremo, dell'eccessiva lunghezza delle serate. Grande spettacolo, mattatori importanti ma qualcosa come 24 canzoni in gara, da inserire in una scaletta di ospitate e sketch per allestire una kermesse degna dell'edizione numero 70 del Festival della canzone italiana. Niente di strano che tutte le sere, finale compresa, l'orologio segnasse le due di notte al momento della chiusura. Ma non è stato del tutto un male visto che, proprio quando gli italiani erano attesa di conoscere il vincitore, abbondantemente superata l'una di notte, è arrivato uno dei messaggi più intensi dell'intera rassegna musicale: lo ha portato un passo di danza, un paio di minuti di esibizione, sufficienti a ridestare chi stava per cedere al sonno e chi era ancora disposto ad aprire la propria coscienza. Perché Ivan Cottini è un ragazzo speciale, che da anni combatte con il ballo – e una dose invidiabile di coraggio e determinazione – la sua battaglia contro la sclerosi multipla. Lo ha fatto danzando ad Amici, nelle sue ospitate televisive a Storie italiane e che ha colto l'occasione del palco dell'Ariston per regalare parole brevi ma dense di significato: “La diversità è bellezza“. E la sua storia lo insegna a tutti noi.

Ivan, partiamo dalla tua esibizione di Sanremo. Pochi minuti a tarda notte ma sufficienti a svegliare le coscienze di molti…
“Non so se hai visto: mi sono quasi imposto alzando il braccio come a scuola per avere la parola, perché una mia esibizione così andava anche sorretta da due parole. Altrimenti sarebbe rimasto l'effetto 'wow' del ballo, poi sarebbe finito tutto lì”.

Invece il messaggio è arrivato forte e chiaro. Anche per l'importanza di lanciarlo da un palco così importante sapendo di rivolgersi a milioni di persone…
“Per me è stato importantissimo, perché ho sulle spalle tante persone che in questi sette anni che faccio dentro e fuori dalla tv, vedendo le mie interviste, hanno ripreso a vivere grazie a questo. E avevo proprio il desiderio di urlare questo mio messaggio, cogliendo l'occasione del Festival di Sanremo, un palco mondiale, dicendo come la diversità sia una bellezza e un valore aggiunto per la società, soprattutto per la televisione. La tv ha questa possibilità di dividere o unire. Il mio sogno sarebbe di vedere un giorno, in un corpo di ballo, un ragazzo con la Sindrome di Down o in sedia rotelle, ma anche un inviato, un assistente di studio che faccia questi lavori nonostante le sue problematiche… Nel momento in cui la tv farà passare la diversità come normalità, con tante figure inserite, noi abbatteremo tanti muri come quello del bullismo, della discriminazione sociale. Questo è il mio pensiero, quello in cui sto credendo da anni”.

Nonostante l'importanza del tuo messaggio, a volte sembra difficile trovare occasioni per far davvero comprendere quanto sia importante un vero confronto sulla diversità…
“E' stato molto difficile, specie all'inizio: ho ricevuto insulti, minacce… Questo è un momento sociale molto difficile, c'è tanta rabbia, tanta invidia, si è spesso gli uni contro gli altri. E vedere una persona malata che, nonostante abbia perso tutto e dovrebbe essere l'ultima al mondo a poter sorridere, riesce a  essere protagonista della propria vita dava molto fastidio. Perché noi scegliamo come vivere: tanti scelgono di vivere da malati e di far la guerra al mondo”.

Il tuo, invece, è un invito a vivere e a combattere il proprio male sullo slancio delle proprie passioni, di ciò che ci piace davvero fare…
“Io faccio vedere che se uno vuole, nella vita, non c'è patologia o muro che possa fermarci. Una malattia come la mia, che è muscolare, tende a irrigidirmi, a farmi diventare un blocco di marmo… Ma io se voglio scendo da quella sedia e provo a danzare. Provo, perché non sono un ballerino ma faccio ciò che mi piace senza lasciarmi vincolare dalla malattia”.

Hai parlato di tante persone che guardano con speranza al tuo esempio… Hai avuto modo di ascoltare delle testimonianze di qualcuno che, vedendoti, è riuscito a riprendere in mano la propria vita e farne a sua volta un messaggio per gli altri?
Io ho testimonianze di tante persone che, nonostante avessero sogni o desideri, erano ferme alla loro disabilità. Attraverso me si sono cimentati di nuovo in queste passioni che magari vedevano lontane, scoprendo che invece potevano seguirle. Soprattutto le persone che stanno bene, che si ammalano nella loro testa, vedendo ciò che faccio hanno ripreso davvero a vivere, tornando protagonisti della propria vita”.

I peggiori limiti, quindi, sono quelli che ci imponiamo noi stessi?
“Purtroppo facciamo l'errore di ammalarci prima nella mente che nel corpo… Io credo che siano arrivati di più quei cinque o sei secondi delle mie parole che l'esibizione di ballo”.

In quei pochi minuti gli italiani hanno concentrato la loro attenzione su quello che stavi facendo e sulle parole che hai pronunciato. E' un segno di quanto bisogno ci sia, in una tv che spesso veicola messaggi inefficaci, di ascoltare storie fatte di valori veri?
“Io sono contento perché quel breve momento è stato il più seguito della serata finale, più della proclamazione del vincitore e più della performance di Benigni di due sere prima, in una fascia oraria peraltro più consona. Questo vuol dire che la gente ha bisogno di questo, di storie, di qualcosa che scaldi il cuore…Tante volte la televisione dà spazio nel momento in cui c'è bisogno di creare del pietosismo… Secondo me è la maniera più sbagliata di far passare la diversità”.

E' estremamente difficile confrontarsi, ancora giovanissimi, con una malattia così grave… Lo è stato altrettanto compiere il passo dall'assorbire un colpo così forte al decidere di farne lo slancio per lanciare un messaggio agli altri?
“Il primo anno ero andato fuori di testa. A 27 anni venivo da un mondo molto frenetico, sempre di corsa e, dalla sera alla mattina, mi sono ritrovato con delle problematiche. Poi subito la diagnosi, i primi 8-9 mesi la malattia si propagava velocemente e perdevo via via molte funzioni del mio corpo. E questo aveva influito tantissimo su di me, ero quasi totalmente annullato come accade a tantissime persone”.

Poi cosa è successo?
“Non so cosa sia scattato… Mi ero stancato di star lì seduto a osservare il mondo che passava. E da lì, in maniera esplosiva, ho deciso di cominciare a fare il 'pazzo'”.

Fondamentale, in questo senso, anche il sostegno della famiglia… I tuoi hanno condiviso fin da subito la tua scelta di metterti così tanto in gioco?
“Sì, anche se ora sono un po' meno al mio fianco. Sono preoccupati, vorrebbero che smettessi di ballare perché ultimamente mi faccio parecchio male e secondo loro non ne vale più la pena. Ma per un genitore ci può anche stare… In tv si vedono solo i due minuti del ballo, l'effetto 'wow', ma c'è tanto sacrificio dietro e tante rinunce poi. Dopo un'esibizione torno acciaccato, per una settimana-dieci giorni mia madre mi aiuta con creme e punture… Per questo mi chiedono se ne vale ancora la pena ma per me sì”.

Il tuo impegno a sostegno delle persone in difficoltà si traduce anche in altre iniziative oltre a quello della danza…
“Io collaboro tantissimo con tante associazioni, vado nelle scuole a raccontarmi… Sono operativo a 360 gradi, non solo danzando. Ho portato avanti anche nella mia regione delle battaglie per leggi che vadano a supportare le famiglie che sono costrette a starci dietro, a mettersi in strada per le continue visite e terapie che dobbiamo sostenere… Ora spero nella proposta di Eleonora, che mi chiami come opinionista a parlare di diversità e di problemi che riguardano noi 'diversi'”.

Hai parlato di esperienze nelle scuole… Come viene recepito il tuo messaggio da ragazzi così giovani?
“Con i ragazzi è forse il momento in cui riesco a relazionarmi meglio. Li vedo con gli occhi sgranati quando racconto la mia storia, li vedo affascinati, desiderosi di ascoltare, tanto che, al momento di andare via, mi fanno arrivare messaggi del tipo 'Resterai sempre nel mio cuore”. Ed è questa la cosa più bella, perché se vogliamo un mondo diverso, migliore, dobbiamo partire proprio dai ragazzi. Che, purtroppo, oggi come oggi sono molto spenti e poco stimolati, lasciati da soli. Questo non va bene”.