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Così Genova ricorda i clochard morti nel 2021 per la “durezza della vita di strada”

I nomi dei clochard risuonano tra le mura della basilica dell’Annunziata. Genova ricorda i dieci senza fissa dimora morti per la durezza della vita di strada nel 2021. Storie diverse. Accomunate dalla solitudine. Dalla durezza. Dall’abbandono. Esistenze segnate dalla perdita di un lavoro. Dall’assenza di una famiglia. Da vicende di dipendenza. Silvio ha vissuto 25 anni per strada. E, proprio quando la Comunità di Sant’Egidio era riuscita a trovargli casa, è morto il 18 marzo 2021. Tonino, dal volto sorridente, lo ha seguito il 15 aprile 2021 Ha combattuto con tenacia contro le sue dipendenze. Ma la strada lo ha sopraffatto. Pavel, appena 35 anni è morto la sera del 22 giugno 2021 dopo aver passato gli ultimi anni della sua vita in strada. Dormendo nel gabbiotto della fermata del bus davanti all’ospedale Galliera. E poi Massimo, Pierluigi, Franco, Ignazio e Alice. L’elenco continua nella funzione religiosa che da vent’anni Sant’Egidio dedica alla memoria di Pietro Magliocco. Che dormiva nella stazione di Sampierdarena. Ed è morto di polmonite nel 1993 a 57 anni-

“Spoon river” dei clochard

C’è anche chi dalla strada si salva. E’ il caso di Davide Mele, 51 anni il prossimo 24 aprile. “Lavoravo all’estero come cuoco. Ho perso il lavoro 3 anni fa. E quando sono tornato in Italia è esplosa la pandemia-  racconta-. Mi sono trovato alla deriva. E ho iniziato a vivere per strada”. Un giorno però, alla stazione ferroviaria dove dormiva, ha incontrato i volontari di Sant’Egidio: “Mi hanno teso la mano. Mi hanno aiutato a trovare una casa. A curare alcuni problemi di salute che avevo. E sono rinato”. Per Mele, la più grande difficoltà del vivere in strada “non è tanto la fame. Perché ci sono Caritas, Sant’Egidio, dove danno da mangiare. La difficoltà vera è che sei completamente solo. Sei perso. Ti disperi”. C’è, quindi, chi si butta sulla droga. Sull’alcol. Prosegue Davide Mele: “Non si sa dove sbattere la testa quando non hai una famiglia a cui chiedere, senza vergognarti. Io poi, per carattere, non sapevo chiedere aiuto. E’ stato grazie a Momo, oggi don Maurizio Scala, che ho capito. Quando uno ti porge la mano, se quella mano è pura, ti salva. Il rischio altrimenti è diventare un invisibile. Le persone non ti guardano. Sono prese dai propri problemi. Questo per fortuna non mi è capitato. Sento di far parte di una grande famiglia. Oggi mi sento di esistere”.

Clochard in pandemia

“Anche quest’anno sono morte dieci persone. E nessuna aveva più di 70 anni– evidenzia don Maurizio Sala-. Questo è un dato fortemente significativo. Perché dimostra la difficoltà della condizione in strada. Queste morti sono domande rivolte a noi cittadini. Ma anche alle istituzioni. Davanti alla durezza della vita di tanti si può e si deve fare qualcosa di più”. Si esce dalla fase più acuta della pandemia. Ma, per chi popola gli androni delle stazioni o i marciapiedi della città, la situazione non migliora: Ricorda don Sala: “C’e’ stato un rapporto con la Asl, fortunatamente. Le persone che vivono per strada e si sono volute vaccinare hanno potuto farlo. Ma il problema di queste morti giovani dipende molto da una distanza tra la cura della persona e le istituzioni. Come Sant’Egidio, insieme alla Compagnia della Misericordia e ad alcuni medici volontari, abbiamo un servizio di medicina di strada. E’ molto importante che tutte le settimane queste persone siano avvicinate da medici. Proprio perché si deve accorciare questa distanza. Affinché nella cura anche loro possano trovare una vita migliore. Il Covid ha peggiorato la situazione. Ma già da prima era grave”.

Il rischio di chiudersi

Orsola, Remo, Licia, Piero, Rachid, Socrate, Andrej, Peter, Dimitri, Ferruccio. A loro è dedicata la celebrazione nella basilica della Santissima Annunziata del Vastato. Da anni febbraio viene dedicata una messa ai clochard nel giorno in cui nel 1993, moriva di polmonite a soli 57 anni Pietro Magliocco. Dormiva nella stazione di Sampierdarena. “Le persone che ricordiamo– prosegue don Sala- sono morte per la durezza della vita. Ma anche per la durezza della nostra città che spesso non sa fermarsi con chi ha bisogno. Questo tempo di pandemia spinge a chiudersi, isolarsi, a tenere gli altri lontani. Ma ci ha mostrato anche che non c’è gioia da soli“. Nel cuore della messa i volontari hanno ricordato decine di donne e uomini morti per le strade di Genova.

Senza tetto

Storie diverse, accomunate spesso da un’età molto giovane (l’aspettativa di vita di un senza dimora è di vent’anni inferiore a quella degli altri cittadini) e da vicende di fragilità e dipendenze. Silvio ha vissuto 25 anni per strada e la sua salute ha avuto un crollo proprio quando Sant’Egidio era riuscito a trovargli una sistemazione. Pavel, che dormiva nel gabbiotto della fermata del bus davanti all’ospedale Galliera, è morto a 35 anni per un problema cardiaco. E poi Manfred, Tonino, Alice, Ignazio. “Erano miei amici”, spiega commosso Riky, che dorme per strada nel centro di Genova. Tiene nella mano un fiore giallo da deporre in omaggio sull’altare. E aggiunge: “Anche io, che in chiesa non entro spesso, ho voluto ricordarli. Spero che un giorno qualcuno farà lo stesso anche per me”.

Giacomo Galeazzi

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