Editoriale

Il Giubileo in carcere del Papa missionario

Papa Francesco aprirà in carcere una delle porte sante del Giubileo. “Ho messo i miei occhi nei vostri occhi” è il passaggio principale del discorso che Giovanni XXIII rivolse ai detenuti del Carcere di Regina Coeli durante la sua visita del 26 dicembre 1958. In perfetta continuità con il Papa buono Roncalli, il Papa misericordioso Bergoglio non interrompe questo umanesimo che trova nella misericordia di Dio la mirabile continuazione dell’azione dello Spirito Santo per rendere manifesta la natura e la missione di Dio nella vita dell’umanità lacerata e bisognosa di resurrezione, di vita eterna nella carne, nel già e non ancora. “Penso che il Papa ci aiuta a capire il vero senso del Giubileo che è quello di preparare il futuro, liberare da tutto ciò che appesantisce, è opportunità di ritrovare se stessi o di ritrovare un’azione che promette la speranza, che ha bisogno di consapevolezza e di opportunità come quella dell’amnistia”, osserva presidente della Cei, Matteo Zuppi. Rispetto all’indicazione di Francesco, di aprire una Porta Santa di una prigione nell’Anno Santo, il cardinale ha commentato: “Se il carcere non ha la porta aperta, non è carcere, è un’altra cosa. Quando in maniera ignorante si dice ‘chiudiamo la porta e buttiamo la chiave’, ecco questo è sbagliato, sia per chi sta fuori che in realtà è più insicuro, sia ovviamente per chi sta dentro. È giusto, aprire la porta significa preparare il futuro, liberare dalle conseguenze del male e quindi sconfiggerlo”.

Foto di Coronel Gonorrea su Unsplash

All’interno della Basilica di San Pietro papa Francesco ha indetto ufficialmente il Giubileo Ordinario 2025. Con la presentazione della bolla “Spes non confundit” alle Chiese dei cinque continenti durante i secondi Vespri della Solennità dell’Ascensione. La Porta Santa sarà aperta il 24 dicembre e verrà chiusa il 6 gennaio 2026. Ed è la speranza il messaggio centrale del prossimo Giubileo in un mondo segnato dal rumore delle armi, dalla “piaga scandalosa” della fame, dal “preoccupante calo della natalità” e dal “debito ecologico“. Una bolla costellata di appelli accorati per chi soffre la fame. Per chi è povero. Emarginato. Per chi vive l’orrore della guerra. E chi è privato della libertà perché in carcere. Affinché si possa tornare a sperare. “Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza”, il desiderio del Pontefice.

Foto di Tim Hüfner su Unsplash

“Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”. E ancora: “Un altro invito accorato desidero rivolgere in vista dell’Anno giubilare è destinato alle Nazioni più benestanti, perché riconoscano la gravità di tante decisioni prese e stabiliscano di condonare i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli. Prima che di magnanimità, è una questione di giustizia“. 

Penitenziario di Kingston, Canada. Immagine di repertorio. Foto di Larry Farr su Unsplash

Quanto alla “perdita del desiderio di trasmettere la vita”, è “urgente che, oltre all’impegno legislativo degli Stati, non venga a mancare il sostegno convinto delle comunità credenti e dell’intera comunità civile in tutte le sue componenti”. Quanto alla “brutalità della violenza” che caratterizza i nostri tempi “è troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?”, chiede il Santo Padre. E mentre chiede che “non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura”, rinnova la proposta “affinché con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri”. L’accostamento e il legame dei due pontefici Roncalli e Bergoglio vive in una immagine: la fiaccola.

Carcere (© Marcello Rabozzi da Pixabay)

Nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II papa Giovanni indicava nella verità cattolica rivisitata dal Concilio quella fiaccola che la Chiesa, mossa da misericordia, offre ai figli che sono separati da lei. Forse, rivive l’immagine della sua vita contadina quando si trascorreva molta vita domestica alla luce del fuoco. L’immagine è tornata, forte, in uno dei momenti più delicati del pontificato di papa Francesco: la fine del Sinodo straordinario sulla Famiglia. L’insistenza del Magistero pontificio sul valore dell’inquietudine è la prova della sua lontananza da ogni forma di conservatorismo e di fondamentalismo. Indubbiamente, per tutti i pontefici che si sono succeduti da Giovanni XXIII a Francesco esiste un criterio, cioè precisi indicatori di riconoscibilità, sulla base dei quali stabilire quale sia stata l’eredità conciliare da attribuire ad ognuno di essi. Il servizio agli ultimi. A cominciare dalle carceri.

Giacomo Galeazzi

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