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Università Cattolica, dalla “governance” del digitale al capitalismo della cura

Un secolo di Cattolica. Nelle celebrazioni per il centenario della sua fondazione, all’Università del Sacro Cuore riecheggia un “progetto umano”. Fondato su tre c. Coordinamento. Collaborazione. Cooperazione. “L’obiettivo è scrivere la nostra storia. Quello che serve è il ‘we the people‘. Incipit della costituzione americana. Ovvero un progetto umano che trasformi il capitalismo come l’abbiamo conosciuto in un capitalismo della cura“, spiega il filosofo Luciano Floridi. La sfida è la “governance” del digitale.

100 anni di Cattolica

Un progetto umano per arrivare al capitalismo della cura. A illustrarlo alla Cattolica è il professor Floridi, docente di Filosofia ed Etica dell’informazione a Oxford. “La sfida non è l’innovazione tecnologica. Bensì la governance del digitale“, precisa. È una delle indicazioni per comprendere gli “effetti dirompenti” della rivoluzione digitale. Con la premessa di “dare indicazioni dov’è la spiaggia. E dove raccogliere i sassi“. Prendendo a prestito la metafora di Isaac Newton. Di fronte al sapere sterminato dell’universo.  L’evento “Tempi digitali. Per la costruzione di un futuro responsabile” ha aperto il ciclo di conferenze “Un secolo di futuro. L’università tra le generazioni“. Promosso dall’Università Cattolica nell’ambito delle celebrazioni per i cento anni della sua fondazione.

“Infosfera” e sfida digitale

Per raccontare la rivoluzione digitale, il professor Floridi ricorre a sei elementi. Ossia il nuovo habitat nel quale passiamo sempre più tempo. Cioè la cosiddetta “infosfera“. Le nuove forme di capacità di azione. La nostra nuova identità. Le sfide che tutto questo provoca. La governance. Il progetto umano. Riguardo al nuovo habitat, per capire meglio quello che sta succedendo intorno a noi secondo Floridi c’è un solo strumento. Il “digitale”. Che, nelle sue varie forme, “taglia e incolla quello che noi abbiamo ereditato dai secoli precedenti”. Ora, “questo ‘cut and paste‘ altro non è se non una capacità del digitale. Quella di scollare cose e ‘concetti sulle cose’ ereditati dal passato. E incollare cose che noi pensavamo fossero completamente distaccate. Ed ereditate come tali dal passato”.

Scollamento

In sintesi, il digitale taglia e incolla la modernità. Sono innumerevoli gli esempi concreti di questo scollamento. Presenza e localizzazione. Territorialità e legge. Con la conseguenza in quest’ultimo caso che la legge non si applica più all’interno dei confini di uno Stato. O di un territorio. Ma sui “data subject”. Ciò indica che “siamo sempre più onlife”. Ossia viviamo esperienze in cui “offline e online sono mescolati”. Ecco perché alla domanda: “Digitale o analogico?”, l’unica risposta del professor Floridi può essere solo “ventunesimo secolo”. Ecco dunque il “new habitat” in cui stiamo operando. E nel quale ci sono “nuove forme di capacità di azione“, come l’intelligenza artificiale. “Ma quanto costa questa automazione?”, si chiede il filosofo. Qualcuno pensa che possa portare alla fine del lavoro. Ma è un errore. Piuttosto è la “fine di alcuni business model“. La “fine dell’identità tra impiego e lavoro”. La “fine della propria identità con il mio lavoro”, precisa all’Ansa Floridi. 

Progettualità

Il risultato? Un “ripensamento della nostra identità”. Ma ci vuole anche una “governance”. Se “non vogliamo perdere la nostra autonomia“, sottolinea il docente di Oxford. Di qui la necessità di un “progetto umano” che sia adatto all’epoca che viviamo. Quella dell’iperstoria e dell’infosfera. Attenzione però, avverte il professor Floridi, non abbiamo bisogno di un “metaprogetto”, quello ereditato dalla seconda metà del Novecento che punta a garantire la “progettualità individuale”.

Giacomo Galeazzi

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