Conte: “Né con Haftar né con Sarraj”

La visita in Cina, effettuata assieme ad altri leader di nazioni per il secondo Forum per la Via della Seta, è stata un'occasione per Giuseppe Conte di tracciare il quadro generale della situazione in Libia, perlomeno dal punto di vista italiano. Il premier, che in giornata si è intrattenuto per alcuni minuti al telefono con il presidente riconosciuto Fayez al-Sarraj, ha fatto sapere che l'Italia non “né a favore di Haftar né a favore di Sarraj, ma a favore del popolo libico”. Non solo. Secondo il presidente del Consiglio, si ritiene che “il popolo libico stia aspettando da troppo tempo, che abbia il diritto di vivere in pace”. E in questo contesto rivendica la posizione italiana come quella “più lungimirante alla luce della concreta evoluzione dello scenario libico: non è con l'opzione militare che si può stabilizzare la Libia”. Ed è quello che, a quanto pare, ha ribadito anche a Sarraj durante la loro conversazione.

Soluzione di stabilità

Il premier, da parte sua, ha ribadito di “non sostenere un singolo attore sullo scenario libico: l'Italia, il governo, mira a ottenere la stabilizzazione del Paese e riteniamo che per raggiungere questo risultato l'opzione militare non è assolutamente affidabile”. Secondo Conte, infatti, “l'intenzione di Haftar, appoggiata da alcuni Paesi, di unificare il territorio libico, di unificare l'esercito, le forze di sicurezza, può anche avere una logica ispiratrice, una sua plausibilità, ma di fatto la nostra posizione si sta rivelando lungimirante alla luce della concreta evoluzione dello scenario libico: non è con l'opzione militare che si può stabilizzare la Libia”. Anche per questo il premier ha lanciato un appello ai “leader europei, mediorientali e gli Stati Uniti a considerare che dobbiamo lavorare a una soluzione politica che non può che passare da un cessate il fuoco, che deve essere immediato, auspichiamo che avvenga subito, perché se si dovesse protrarre questo scenario di conflitto armato la soluzione politica rischia di allontanarsi, perché la violenza genera violenza, rancore risentimento e più si protrae e più si allontana e diventa difficile recuperare la soluzione politica”.