Verso un ministero della Pace

Nel 1945, Gli Stati “amanti della pace” nel Preambolo dello statuto delle Nazioni Unite proclamarono “Noi, popoli delle Nazioni Unite, siamo determinati a preservare le generazioni future dal flagello della guerra, che già due volte nella nostra vita ha portato indicibili sofferenze all’umanità”.

Con queste premesse l'Assemblea Generale Onu approvò il 10 dicembre del '48 la Dichiarazione dei Diritti Umani e all'art.1 ribadì “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti…sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza “, la guerra come orribile “flagello” viene negata e ripudiata. In occasione della Giornata Mondiale della Dichiarazione dei Diritti Umani (che ricorre domani) dobbiamo innanzitutto interrogarci su questa parola: noncuranza. La rottura dell'argine etico e giuridico agli orrori della guerra ha una sua causa nella trascuratezza dell'aria in cui respirano i diritti umani che restano asfittici e rachitici.

Il problema di fondo dei diritti dell'uomo è non tanto quello di proclamarli o celebrarli, quanto quello di sviluppare, garantire, proteggere quel grembo materno in cui debbono crescere e compiersi in pienezza; di non disprezzarli come fossero residui di un'umanità scontata e “oserei” dire oggi quasi passata di moda a fronte di redivive pulsioni schiaviste, sottoculturali, ed economiche macchiavelliche ragion di Stato. Ma soprattutto la noncuranza del loro “habitat” è un problema non “filosofico ma politico” (così Bobbio si esprimeva già 30 anni fa) la pacifica convivenza umana non è assenza di guerra ma continua perseverante costruzione della Pace.

Non è sufficiente che il Paese si sieda a guardare all'assenza di guerra e/o reprimerne le minacce occorre “organizzare la pace” occorrono azioni di “pace positiva” cioè di costruzione di un ordine in cui oltre le leggi, le cui istituzioni, diano una “casa di riferimento istituzionale” a tutte quelle forze della società civile che già operano nella costruzione di percorsi e attività di pace. La Politica deve legittimare e raccogliere le esperienze dei suoi cittadini che credono in una società democratica e solidale ed in base all'assunto per cui la pace è un diritto fondamentale dell'uomo e dei popoli. Quando la violenza e le armi prendono il sopravvento non c'è più spazio né margine per il rispetto dei più fondamentali dei diritti umani: la Pace è precondizione di ogni diritto, ed il primordiale diritto. Ogni paese dovrebbe creare un Ministero nazionale per la pace.

E' un invito agli studiosi e gli attivisti italiani per la pace a mobilitarsi tutti affinchè la prospettiva di pace possa essere istituzionalizzata all'interno del governo con un Ministero ad hoc. Significativa la visione di un sacerdote, Don Oreste Benzi, che con una visione profetica già nel 2001 chiedendolo al Governo diceva: “Gli uomini hanno sempre organizzato la guerra. È arrivata l’ora di organizzare la pace”. Il Ministero della Pace dovrebbe coordinare una politica di pace di tutti i ministeri esistenti; un ministero trasversale per organizzare la pace. E' indispensabile un principio di cambiamento organizzativo.

Le istituzioni devono adottare nuove visioni del mondo, una nuova ricerca per la pace richiede una nuova istituzione. Non c'è diritto umano che possa essere assicurato se non si “cura” il loro presupposto fondamentale e necessario, cioè la pace e con quella serietà, che non ha nulla proprio nulla a che fare con concezioni “vetero o psuedopacifiste” irrise da larga parte della politica.

Le giovani generazioni attendono e aspirano a questa nuova visione capace di catalizzare le speranze più profonde dove alberga e va coltivata la “curae filius” e non quell' “homo homini lupus” che tanto flagello ancora diffonde nella società e nel mondo. I giovani vogliono respirare nel grembo di una Patria che gli offra la possibilità di nascere e crescere, di un futuro vero, e ancora dove la costruzione della Pace e del benessere è diritto e dovere, come afferma la nostra Costituzione che all'art. 4 recita : “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.