L’urgenza sociale di non trascurare l’Aids

L’Aids ha rappresentato nell’ultimo scorcio del XX secolo una malattia dal forte impatto emotivo e sociale proprio per le sue caratteristiche peculiari di essere una nuova patologia infettiva ad evoluzione potenzialmente mortale, a trasmissione prevalentemente sessuale (ma anche parenterale e verticale) e diffusione epidemica globale. Inoltre, particolare non trascurabile, la comparsa ed il successivo diffondersi dell’infezione/malattia da HIV è avvenuto in un momento storico quando si supponeva che ormai le malattie infettive rappresentassero un retaggio del passato.

È altresì raro trovare nella storia dell’umanità – bisogna andare al tempo della peste per reperire un esempio analogo – che una malattia abbia così profondamente e significativamente inciso sugli aspetti non solo di ordine medico, ma anche politico, sociale, etico, economico come ha fatto l’AIDS nell’ultimo scorcio del passato millennio e così come nel tempo attuale. Oggi è inevitabile il paragone con la pandemia COVID-19 che è comparsa nel 2019 e che sicuramente ha anch’essa un profondo impatto sulla vita delle persone sia nel presente che negli anni a venire.

Questa pandemia si caratterizza per una più veloce diffusione epidemica rispetto ad HIV/AIDS, essendo trasmessa per via respiratoria e per una sua minore mortalità, anche se per il numero considerevole di morti e contagiati che ha prodotto in un tempo relativamente breve rappresenta certamente un rilevante problema di sanità pubblica.

Dal punto di vista epidemiologico, sono stati oggi individuati tre pattern di sviluppo dell’epidemia di HIV nel mondo. Pattern I, che riguarda i Paesi del Nord America (USA, Canada) e l’Europa occidentale, nei quali l’epidemia si è sviluppata con una modalità di trasmissione omo-bisessuale e con la tossicodipendenza. Pattern II, presente nell’Africa sub-sahariana e parte del Sud America, dove l’infezione si è diffusa per via eterosessuale con un rapporto uomo-donna di 1 a 1. Pattern III, prevalente nei Paesi asiatici, dell’Europa dell’Est e del Medio Oriente aree nelle quali l’HIV è entrato tardivamente rispetto ad altre aree geografiche e dove la diffusione ha avuto un forte incremento più tardivo grazie alla tossicodipendenza ed ai rapporti eterosessuali.

La “Sindrome da Immunodeficienza Acquisita” (AIDS: Acquired Immuno Deficiency Sindrome), rappresenta la fase terminale dell’infezione del virus dell’immunodeficienza umana (HIV: Human Immunodeficiency Virus) e si caratterizza per una grave immunodeficienza a carico dell’immunità cellulare che espone, chi ne è affetto, allo sviluppo di gravi infezioni opportunistiche e/o caratteristici e rari tumori. La malattia è stata inizialmente descritta negli Stati Uniti nel 1981 nella popolazione bianca omosessuale, che sviluppava una grave forma di polmonite interstiziale causata da un fungo, il Pneumocystis jerovecii (allora considerato un protozoo e chiamato Pneumocystis carinii) e/o da un raro tumore cutaneo, il Sarcoma di Kaposi. Fin da subito, questa sindrome si è caratterizzata per la sua gravità clinica che si associava ad elevata letalità e spiccata immunodepressione per il coinvolgimento preferenziale dei linfociti T a fenotipo CD4.

L’infezione da HIV nel corso degli anni successivi fino ai giorni nostri si è resa responsabile di una vera e propria pandemia, con oltre 60 milioni di casi diagnosticati nel mondo e 25 milioni di morti. Inoltre secondo una stima dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2019 vi erano 38 milioni di persone che vivevano con HIV/AIDS, 1,7 milioni di nuove infezioni HIV l’anno e 690.000 decessi a causa di AIDS. Dopo un iniziale picco di diffusione e di mortalità avvenuto nei primi anni ’90, il numero di decessi per HIV/AIDS si è ridotto successivamente di circa il 70%, specialmente nei Paesi dell’Europa occidentale e del Nord America ove migliori sono le opportunità terapeutiche.

Infatti è stato proprio grazie allo sviluppo di una terapia specificamente efficace per HIV, definita “Highly active antiretroviral therapy-HAART”, al miglioramento della profilassi e della terapia delle infezioni opportunistiche, alla maggior accessibilità alle cure ed alle campagne di prevenzione che si sono ottenuti importanti traguardi in termini di sanità pubblica che hanno prodotto un netto miglioramento della prognosi. Nonostante tutti questi innegabili successi, l’HIV/AIDS rimane però ancora oggi una importante patologia per quanto attiene la morbidità e mortalità dal momento che si associa a rilevanti criticità non solo di tipo assistenziale, ma anche sociale, psicologico ed economico.

Il virus HIV appartiene al genere Retroviridae, sottofamiglia Lentivirus; sono state identificate due specie virali: l’HIV-1 e l’HIV-2, quest’ultimo con diffusione geografica limitata al versante occidentale del continente africano. Per quanto concerne HIV-1, sono stati individuati quattro gruppi: M, O, N, P e nove sottotipi principali, denominati A, B, C, D, F, G, H, J, K; il sottotipo C è il più diffuso a livello mondiale, mentre nei Paesi occidentali la maggior parte dei pazienti presenta il sottotipo B. Il virus ha una struttura icosaedrica, con una superficie esterna caratterizzata da numerose proiezioni costituite da due proteine principali di membrana: la gp120 (esterna) e la gp41 (transmembrana). All’interno il virione contiene il genoma, costituito da due filamenti di RNA a polarità positiva che, tramite l’azione dell’enzima trascrittasi inversa, può essere retrotrascritto in DNA nelle cellule infettate. Altri enzimi importanti per la replicazione del virus sono: le proteasi e le integrasi. Tutti questi enzimi rappresentano i bersagli della terapia anti HIV.

Dal punto di vista dell’origine di HIV ci sono ancora numerosi punti oscuri: si ipotizza che si tratti di un virus inizialmente presente nelle scimmie nelle quali si era col tempo adattato così da non determinare alcuna malattia e che successivamente, probabilmente negli anni ’50-’60, è stato casualmente trasmesso all’uomo inizialmente in aree rurali dell’Africa, dov’è rimasto a lungo confinato. Da queste aree il virus attraverso le rotte commerciali, si sarebbe diffuso inizialmente nel continente africano e successivamente negli Stati Uniti ed in Europa. In Africa avrebbero giocato un ruolo rilevante per la sua diffusione una serie di concause avvenute negli anni ’60 ed in particolare: l’instabilità politica legata al crollo del colonialismo, le numerose guerre che si sono succedute in quel tumultuoso periodo con spostamenti di eserciti e l’inurbamento massiccio che si è verificato con spostamento di milioni di persone dalla campagna alle città diventate megalopoli. Proprio queste situazioni di povertà e disagio sociale avrebbero favorito la diffusione per via sessuale del virus attraverso la prostituzione e gli stupri.