Una foto emblematica dei nostri tempi

Una fotografia dell’autunno del 2015, ripubblicata sui giornali in occasione dell’assegnazione dei premi Nobel 2016, ritraeva un’anziana signora greca, una nonna, Emilia Kamvisi, che, in compagnia di altre due anziane signore, allatta con un biberon un piccolo migrante siriano appena sbarcato sull’isola di Lesbo. Chiunque abbia guardato questa foto con attenzione non può non averla trovata toccante e ricca di significati.
Questo scatto, o, piuttosto, questo episodio, è emblematico, paradigmatico, direbbe Papa Francesco, di alcune fra le questioni fondamentali dei nostri giorni. Ma è anche emblematico della soluzione, o almeno della soluzione ultima. Proviamo a leggere le questioni che esso richiama alla mente e al cuore.

La signora Emilia, greca, figlia di emigrati turchi, che accoglie un piccolo emigrato è l’icona del fenomeno migratorio. Fatto estremamente complesso, sempre esistito, specialmente nel bacino del Mediterraneo, è oggi avvertito in modo particolarmente acuto: per i numeri, ingenti – solo nel 2015 circa un milione di persone ha attraversato il nostro mare -, ma anche per le condizioni estreme in cui, nella maggior parte dei casi, si svolgono gli spostamenti dei migranti, per la drammaticità delle situazioni che li spingono ad emigrare e per l’impreparazione dei paesi di accoglienza che si trovano, comunque, a dover gestire problemi difficili da un punto di vista concreto, ma anche culturale e identitario.

Con il suo gesto, la Signora Emilia sconfigge la paura: protegge il piccolo siriano, lo rassicura dai pericoli corsi nel suo Paese in guerra e durante il viaggio. Ma non solo, la donna con il suo gesto sconfigge la paura di chi accoglie o dovrebbe farlo. La paura dell’altro, che oggi si presenta nella forma “liquida” dell’incertezza, della precarietà, della mancanza di futuro e che si propaga sempre più grazie ai social network: ci preoccupiamo di minacce future che possono nuocerci come collettività e come singoli, ma non sappiamo bene quando e se poi ci riguardano davvero. Si arriva ad avere paura addirittura del bambino che deve nascere.

Emilia, poi, accogliendo il piccolo siriano supera l’indifferenza, mette da parte la tentazione di far finta di non aver sentito il trambusto sulla spiaggia di Lesbo, la tentazione, che è quella della maggior parte di noi, di voltarci dall’altra parte quando ci troviamo davanti ad una situazione nuova, che, se non ci fa paura, rischia, quanto meno, di turbare i nostri programmi, la nostra routine. Essa ha messo da parte, cioè, il naturale disagio di fronte a qualcosa che interferisce con la propria identità e, dovendo gestire una situazione estrema, ha fatto appello alla sua identità più profonda – si potrebbe anche dire, alla sua natura – di donna e di madre, o piuttosto, di nonna, per prendersi cura di un piccolo essere umano.

Infine, con la ninna nanna che canta al bambino e con le raccomandazioni rivolte alla sua mamma, dà inizio ad un processo di conoscenza reciproca fra tre persone, fra due culture differenti; intesse, lei, cristiana, con il piccolo nucleo familiare islamico, probabilmente in modo inconsapevole, un dialogo interreligioso di pace. Con il biberon offerto al bimbo soddisfa, oltre che la fame del bambino, anche la sete di pace di una popolazione stremata da anni di guerra ma, più in generale, la sete di pace dell’umanità.

Ci invita, in ultima analisi, ad avere, malgrado tutto, fiducia nell’umanità e dà concretezza alle parole pronunciate da Papa Francesco proprio a Lesbo nell’aprile scorso: “Dio ha creato il genere umano perché formi una sola famiglia; quando qualche nostro fratello o sorella soffre, tutti noi ne siamo toccati. Tutti sappiamo per esperienza quanto è facile per alcune persone ignorare le sofferenze degli altri e persino sfruttarne la vulnerabilità. Ma sappiamo anche che queste crisi possono far emergere il meglio di noi. Lo avete visto in voi stessi e nel popolo greco, che ha generosamente risposto ai vostri bisogni pur in mezzo alle sue stesse difficoltà”.

Flaminia Giovannelli, sottosegretario Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace