I possibili frutti della riforma fiscale

Mercoledì 12 luglio è stata approvato alla Camera il DDL che delega al Governo la redazione della riforma fiscale. Non è la prima volta che accade, in effetti, poiché è dal primo governo Berlusconi, nel 1994, che si parla di una riforma del fisco dalle basi ma, nell’ultimo trentennio, il sistema fiscale italiano ha continuato a evolversi verso un reale moloch inefficiente e costoso, sia per i contribuenti che hanno visto, anno dopo anno, aumentare la pressione fiscale sia per lo stato stesso che si ritrova a spendere ingenti risorse sia per incassare i tributi sia per i successivi controlli. A voler ben vedere, prima ancora della riduzione del prelievo, la vera riforma epocale, oggi, sarebbe la razionalizzazione del fisco, creando una struttura snella, di facile applicazione e, per questo, già molto meno onerosa per tutti. Che questa sia la volta buona?

Sulla carta sembrerebbe di sì, infatti già si è verificato un evento insolito e, cioè, che parte dell’opposizione, Italia Viva e Terzo Polo, abbia votato a favore, insieme alla maggioranza, quello che è, di fatto, il progetto cardine di ogni forza di governo che si sia succeduta in Parlamento. Ma cosa prevede questa riforma? La prima cosa che salta all’occhio è l’intervento sull’IRPEF che, pur mantenendo la sua impostazione progressiva (quindi niente flat tax), passa da quattro a tre scaglioni:

  • 23% per i redditi fino a 28 mila euro;
  • 35% per i redditi oltre 28 mila e fino a 50 mila euro;
  • 43% per i redditi oltre 50 mila euro.

Come si nota l’aliquota marginale resta identica ma i redditi medi avranno già un minimo vantaggio iniziale senza contare, ovviamente, il gioco di deduzioni e detrazioni poiché una RAL media (oggi poco superiore ai 29’000 euro) pari a circa uno 0,7% di prelievo in meno. Poca cosa, vero? Sì però a questo va aggiunto l’inserimento strutturale della detassazione su straordinari, tredicesime e premi di produzione applicando una flat tax incrementale (sic!) che permetterebbe ai redditi medio-bassi di poter ricevere un vantaggio piuttosto corposo fino anche a 8 punti di prelievo in meno sull’aliquota base.

Due novità interessanti sono, invece, l’idea di un’IRES, da estendere a ogni impresa per uniformarne la tassazione, a due aliquote (quindi non più una flat tax tout court come è stata negli ultimi anni) dove all’aliquota ordinaria del 24% si aggiungerà un’aliquota ridotta per quelle imprese che investano in innovazione, nuova occupazione o che attuino una compartecipazione dei dipendenti agli utili d’azienda e il progressivo superamento dell’IRAP.

Quest’ultima, infatti, è un balzello estremamente odiato, tanto che qualcuno in passato la definì Imposta RAPina, poiché non si applica agli utili ma alle attività produttive e si calcola partendo dal bilancio civilistico sottraendo al valore della produzione i costi sostenuti e sommando al risultato il costo del personale e le eventuali rate di leasing, a questo vanno sottratte le deduzioni per il costo del personale a tempo indeterminato e la deduzione forfettaria e il risultato va moltiplicato per l’aliquota prevista a livello regionale. Come si vede questa imposta va a colpire anche i costi, le componenti negative di reddito, e non gli utili ed è evidente l’effetto distorsivo che abbia a livello dei conti d’azienda. Aver inserito il principio di un progressivo superamento di questa imposta è estremamente positivo, quindi, anche solo per la semplificazione del sistema.

A questo vanno aggiunti sia la razionalizzazione e rimodulazione dell’imposizione IVA sia la progressiva cancellazione dei microtributi che rappresentano solo una complicazione del prelievo poiché il gettito non ripaga nemmeno i costi di riscossione. Quest’ultimo punto è previsto nel DDL Marattin e Costa, approvato in abbinamento alla Legge Delega, che, tra l’altro, indica molto bene la struttura della riforma fiscale che si va delineando, aprendo una stagione che, oserei definire, inedita poiché una maggioranza di governo ha fatto proprio un DDL, molto ben strutturato, presentato dall’opposizione mostrando un pragmatismo che in questi anni di contrapposizione tra schieramenti opposti non si era mai visto.

Tralasciando, quindi, gli altri punti, relativi soprattutto alla riscossione e al contrasto all’evasione fiscale, il vero punto di svolta è qui. Diciamolo subito, non sarà una riforma epocale ma potrebbe essere un buon inizio. Non credo che qualcuno possa aver pensato subito di vedere un taglio drastico delle imposte (anche se tutti, o quasi, lo avrebbero sperato) perché è inutile nascondersi dietro slogan o proclami da comizio di piazza ma per diminuire le imposte è necessario ridurre la spesa e da qui non si scappa.

Per ridurre la spesa, dopo i fallimenti passati dei commissari alla spending review che, invece, divenne una “spending de più”, occorre prima disintermediare l’attività dello stato e qui entra la semplificazione della macchina fiscale che permetterebbe dei controlli più semplici e meno onerosi e la ristrutturazione della riscossione eliminando passaggi come la “cartella” e l’”iscrizione a ruolo”, punti presenti nella delega fiscale d’altro canto, che si configurano come primi passi nella sburocratizzazione del Paese.

Non è un caso che il centro studi della CGIA di Mestre abbia, più volte, indicato che gli sprechi delle PPAA valgano il doppio dell’evasione fiscale, perché proprio la struttura della macchina statale è lenta e costosa, razionalizzarla significherebbe già di suo semplificare il lavoro di impiegati e funzionari e, in linea teorica, ne aumenterebbe la produttività con un vantaggio per tutti.

Cosa porterà questa “riforma”, quindi? Sicuramente qualche piccolo vantaggio a breve termine (tra 18 mesi almeno, va detto) lo vedranno tutti, però non sarà nulla di veramente rivoluzionario, questo deve essere chiaro, ma se veramente questa possa essere la “prima pietra” per una trasformazione strutturale del fisco e, di conseguenza, della struttura dello stato, condivisa al di là della mera maggioranza parlamentare, allora, forse, si sta facendo la storia del Paese anche se è ancora presto per dirlo.